Si vive nel presente. Si vive con
fiduciosa attesa dei frutti del progresso. Si vive, talvolta anche a fatica, con
la fierezza di chi ha fatto, fa e
farà ogni tentativo per sgomberare la mente da imbarazzanti ombre al fine di
avvicinarsi asintoticamente alla condizione di lavorare alla limpida luce della
ragione. Questo, semplificato ai livelli estremi, è il modello di vita dello
studioso occidentale e, in particolare, questo è il consolidato paradigma della
ricerca scientifica. I pregi del modello sono evidenti e incontestabili ed è
del tutto legittimo pensare che, se tutti i passi della ricerca fossero conformi
a tale modello, il progresso, il criterio di valutazione più estesamente
riconosciuto, non potrebbe che ricavarne un significativo incremento. La
valutazione resta però sospesa proprio in considerazione di quanto sia lecito
considerare il progresso, così come è inteso dall'Occidente moderno, come
criterio di valore assoluto o quanto meno preponderante. Questo interrogativo ha
ragione di esistere sia che si giudichi quanto è già avvenuto, sia che si
valutino le possibili premesse per il futuro. Detto altrimenti: come motivare
l'incremento di sapere in contesti che del sapere non permettono
un'interpretazione puramente o precipuamente strumentale (si pensi al nostro
Medio Evo e alle civiltà orientali) e, soprattutto, quali giustificazioni
addurre al circoscrivere, come fa l’Occidente moderno, il sapere a solo alcuni
tipi di attività cognitiva e, in subordine ma non meno cogentemente, come
spiegare i progressi del sapere che, come bene viene illustrato dalla storia
della scienza moderna, hanno preso spunto da attività cognitive diverse da
quelle razionali e, in ogni caso, non riconducibili a nessuna delle metodologie
proprie della ricerca scientifica?
Questo interrogativo può essere formulato anche in un altro modo, ci si
può chiedere cioè se la phantasia ha
una rilevanza nulla o addirittura negativa nell'accrescimento del sapere e, in
particolare, nello sviluppo della ricerca scientifica (o, come dice il
sottotitolo, se le frittate di uova alchemiche sono necessariamente
incommestibili).
Fra le risposte che è possibile formulare a domande di questo tipo, due
si impongono con pari facilità e forza.
La prima risposta, senz'altro la più seguita e forse anche la più
facilmente percorribile, nega senza indugio ogni rilevanza epistemica ad attività
quali la magia, la cabala, l'alchimia e
l'astrologia facendo leva sul carattere non-scientifico di queste discipline,
vale a dire sottolineando l'assenza, o la grave carenza, di quei caratteri che
sono considerati distintivi e qualificanti la vera ricerca scientifica: la
completezza, la neutralità, l'obiettività, la riproducibilità, l'assenza di
ipotesi ad hoc (l'hypotheses
non fingo di Newton), etc. A favore di questa valutazione negativa delle
attività "fantastiche" gioca anche il fatto che, mentre la scienza
moderna dalla sua nascita a oggi ha avuto uno sviluppo continuo e veloce unito a
un incremento a esponenzialità geometrica
dei risultati, le attività "fantastiche" , e si pensa in
particolar modo all'alchimia, sono invece diventate del tutto marginali sia a
livello sociale che a livello pratico. Da ciò risulta che
attività come l'alchimia sono, agli occhi praticamente di tutti, i residui di
un passato ormai troppo lontano e in ogni caso ininfluente per i bisogni
dell'uomo moderno. Residui certo fascinosi ma viziati dall'incapacità di
trovare il modo di adempiere anche ai minimi requisiti epistemologici e quindi
da esporre, tutt'al più, tra le curiositates
delle odierne Wunderkammern o da
segregare nel sempre accogliente ambito del patologico.
La seconda risposta, meno popolare, ma forse proprio per questo più
seducente, consiste nell'apologizzare attività quali l'alchimia sulla base di
argomentazioni che, con logica coerenza, pongano a confronto dati storici e
moderne e accettate nozioni scientifiche.
Sempre
in riferimento all'alchimia, è possibile evidenziare:
1.
Fin dai primi documenti disponibili risulta che gli alchimisti
ritengono possibile, e propugnano, la trasformazione di un elemento in un altro
(e, in particolare, di uno "vile" in uno "nobile").
2.
La scienza ufficiale ha sempre negato la possibilità di trasformare un
elemento in un altro finché, in tempi relativamente recenti,
è stato determinato che tale possibilità in linea teorica esiste benché non
sia vantaggioso cercare di sfruttarla a causa dell'enorme impiego di energia che
si rende necessario per effettuare tale trasformazione.
3.
La ricerca storica
ha appurato che la scienza ufficiale ha spesso proceduto compiendo arrangiamenti
ad hoc e addirittura praticando una
cosmesi delle esperienze effettuate o riferendo risultati di esperienze mai
realizzate se non idealmente. Ciò che è più significativo è che tra queste
vere e proprie truffe scientifiche, indipendentemente dal valore dei risultati
grazie a loro ottenuti, si possono annoverare alcune esperienze chiave della
scienza occidentale. Si pensi all'esperimento del piano inclinato che permise a
Galileo di formulare la legge del moto uniformemente accelerato (s
= 1/2 at²): già Alexandre Koyré pose in dubbio il fatto che Galileo
avesse realmente condotto l'esperimento che con tanta efficacia descrive nel Dialogo
sopra i massimi sistemi, mentre nel 1973 Ronald Naylor dimostrò che era
impossibile riprodurre con successo l'esperimento secondo le modalità indicate
da Galileo il quale dunque, pur pervenendo a un risultato valido, non poteva
averlo eseguito che mentalmente.
Un altro famoso esempio di manipolazione dei dati è fornito dal calcolo
newtoniano della velocità del suono.
4.
E' sempre l'indagine storica a segnalare che non poche scoperte
scientifiche sono avvenute non grazie a un'austera e rigida metodologia, né
grazie a una concatenazione di passi razionali, bensì sotto l'influsso di
suggerimenti e allusioni provenienti dal mondo della phantasia.
Sempre a titolo di esempio si può ricordare che la legge delle proporzionalità
quadratica inversa che governa il conatus
recedendi di un pianeta in orbita attorno al sole sia stato suggerito a
Newton dalle sue scoperte alchemiche e dalla "sua conoscenza delle
tradizioni ermetiche con le loro digressioni nella teologia e nella mitologia
antica" [White 2001: 267]. Si può citare ancora l'esempio di Keplero la
cui astronomia, secondo il parere di alcuni studiosi americani, funzionerebbe
così bene, nonostante non potesse ancora avvalersi dei potenti strumenti della
fisica newtoniana, proprio grazie all'abilità dello scienziato di scivolare
verso presupposizioni metafisiche allorché quelle fisiche non potevano più
essere di aiuto. E' in considerazione di situazioni di questo tipo che Gerald
Holton considera necessario che nello studio della nascita e dello sviluppo
della scienza si vada alla ricerca di ipotesi non verificabili e non
falsificabili e che tuttavia alla fine si riveleranno non del tutto arbitrarie
e, in certi stadi dello sviluppo, addirittura necessarie. Questo tipo di
analisi, continua lo studioso, rivelerebbe la sua significatività anche nei
confronti delle scienze più giovani che, a suo avviso erroneamente, cercano di
emulare le più vecchie restringendo la loro area di indagine, anche in modo
arbitrario, al solo piano contingente delle asserzioni fenomeniche e analitiche.
A conclusione di questo schizzo preliminare della natura talvolta ibrida della
scoperta scientifica, si deve ricordare come l'influenza dell'irrazionale
avvenga però anche in altro modo e cioè favorendo, si potrebbe dire con
qualsiasi mezzo, il successo di un'ipotesi sulle sue antagoniste. Paul K.
Feyerabend dice a proposito di una simile strategia adottata da Galileo:
5.
"... il proselitismo alle
nuove idee deve essere stato realizzato mediante mezzi non argomentativi. Esso
dev'essere stato realizzato facendo ricorso a mezzi irrazionali come la
propaganda, l'emozione, ipotesi ad hoc e appello a pregiudizi di ogni sorta."
[Feyerabend 1979: 125]
A
sintesi di questi quattro punti apologetici nei confronti di attività quali
l'alchimia, si potrebbe dire che mentre il suo principale punto programmatico
(la trasformazione di un elemento in un altro) si è alla fine dimostrato
realizzabile (seppur con metodi e tecniche differenti da quelli in uso presso
gli alchimisti medievali e rinascimentali), l'immagine di una scienza immune da
influssi extra-razionali e soprattutto l'immagine di una scienza che rifugge da
metodologie diverse da quelle che distinguono l'attività scientifica da ogni
altra attività intellettuale, sono state offuscate.
Procedere, però, lungo una simile linea argomentativa non solo tradirebbe una
strategia retorica partigiana (con tutti i conseguenti rischi di cadere nel
falso e nel ridicolo) ma soprattutto farebbe perdere di vista i reali punti di
forza della phantasia nell'impegno di
accrescere il sapere.
Prima
di esporre le motivazioni che portano a considerare l'attività della phantasia
integrata e non indifferente od opposta all'accrescimento del sapere, è utile
vedere che cosa oggi si intende (ma la problematica è antica) per "futuro
della scienza": "Il modo più semplice per pensare al possibile futuro
della scienza è quello di considerare solo due aspetti: in primo luogo se
esiste o meno una quantità di informazioni fondamentali sulla Natura ancora in
attesa di essere scoperte, e in secondo luogo se le nostre capacità siano o
meno limitate. Ciò rende possibili quattro tipi distinti di futuro:
Futuro
di tipo I :
Natura illimitata e capacità umane illimitate;
Futuro
di tipo II :
Natura illimitata e capacità umane limitate;
Futuro
di tipo III : Natura limitata e capacità umane illimitate;
Futuro
di tipo IV : Natura limitata e capacità umane limitate."
[Barrow 1999: 108]
Forse
per non cadere nelle grossolane ingenuità del passato, lo stato della ricerca
è oggi in una posizione attendista circa l'opzione da prediligere. Quello che
è singolare, però, è che il tipo di
capacità umane considerate utili per il progresso della scienza non sia poi così
dissimile da quello preso come unità di misura da un Cartesio o da De
l'interpretation de la nature di Diderot. E' singolare cioè che le capacità
che filosofi della scienza e scienziati prendono in considerazione siano
circoscritte nell'ambito della razionalità quando quest'ultima è sfruttata al
meglio solo da un esiguo numero di individui e, ciò che più conta, rappresenta
solo un'esigua parte delle capacità cognitive dell'uomo:
"Senza dubbio i nostri
antenati avevano bisogno di qualche capacità razionale per sopravvivere, ma
[...] il cervello umano si evolse più come organo religioso che razionale [...]
La scienza razionale interessa una minoranza [...] E' pertanto probabile che i
primi cervelli umani si siano evoluti per imporre significati simbolici al mondo
esterno, e che in seguito il virus della scienza abbia infettato una minoranza
dei loro discendenti dove ora prospera in circuiti nervosi originariamente
evolutisi per trasmettere altre idee." [Humphrey
1995 : 52-3; cit. in Barrow 1999: 134].
Il
fatto che, nel genere umano, l'evoluzione delle capacità mentali abbia preso
una via solo parzialmente coincidente allo sviluppo delle capacità razionali
comporta una divaricazione, assai netta ma variabile in funzione delle diverse
culture, tra sviluppo delle capacità mentali e sviluppo della conoscenza (che
nell'Occidente, non fosse per altro che per ragioni di utilità, è per intero
circoscritta all'ambito della razionalità). E' in ragione di questa
divaricazione, e con la finalità di attenuarla e quindi di ottimizzare le
capacità operative della mente, che
la modalità cognitiva "fantastica" (certo sfruttando una naturale
propensione dell'uomo, sebbene non sia possibile dire con quanta consapevolezza
di ciò e soprattutto delle proprie potenzialità) ha battuto, e batte, con
insistenza il tasto degli orizzonti di sapere pronti a dischiudersi se solo si
volesse superare la sua soglia e prendere dimestichezza con ciò che viene messo
a disposizione. E' chiaro che, vuoi per la relativa lontananza del mondo della phantasia
da quello della razionalità, vuoi per le palesi ingenuità, superficialità e
frodi da parte del primo e per le idiosincratiche prevenzioni del secondo,
l'apporto "fantastico" è stato, ed è, almeno in apparenza ridotto.
La constatazione fattuale (il ridotto apporto) non pregiudica però la
potenzialità oggettiva. In concreto, i limiti che si pongono il pensiero
razionale e, ancor più e a ragion voluta, il pensiero scientifico sono limiti
intrinseci al loro modo di procedere, alle regole che si sono imposti e a ciò
di cui devono rendere conto. Ciò non significa, e sarebbe quanto meno
superstizioso ammetterlo, che i loro limiti non si dice coincidano ma neppure si
avvicinino a quelli imposti dal loro oggetto di osservazione, diciamo la Natura.
Il passo da qui allo scientismo è impercettibile. Per evitare questo passo
falso è opportuno prendere in considerazione le indicazioni di Popper [1970,
cap. I] il quale situa la formazione di teorie e ipotesi all'esterno del metodo
scientifico, e precisamente in un ambito che egli definisce
"metafisico" e dunque estraneo a quello della sua ricerca.
Cionondimeno egli sottolinea l'importanza vitale che queste teorie e ipotesi
situate nell'ambito metafisico hanno avuto per lo sviluppo della scienza. A spiegazione del perché
ciò che Popper definisce "metafisico" sia stato abbastanza
brutalmente allontanato dai confini della scienza, consentendo così a
quest'ultima di esibire il suo aspetto più cristallino, si può addurre il
tipico comportamento degli scienziati (ma anche di storici e filosofi della
scienza) sempre pronti "a rimandare o evitare discussioni sul contesto
personale della scoperta a favore del contesto della giustificazione"
[Holton 1973:17].
A
prescindere da questi aspetti, tutto sommato marginali al progredire del sapere,
come evitare allora di cadere da un lato in un ottuso scientismo e dall'altro
nelle fallacie a cui spesso è stato condotto chi ha percorso i territori della phantasia?
Una risposta, sobria e moderata, è offerta da Ermanno Bencivenga:
"Restando inteso che qualsiasi
risposta a domande del genere ha un significato normativo, esprime cioè quello
che uno pensa dovrebbe essere il corso delle cose (o delle opinioni), la mia
risposta è che tra scienza e filosofia c’è assoluta continuità. In ogni
momento storico esistono ambiti in cui non si sa come muoversi : ci sono
importanti questioni aperte e una loro «soluzione» cambierà in modo decisivo
le nostre abitudini e aspettative. E poi esistono altri ambiti in cui le
questioni fondamentali sembrano chiuse e si lavora metodicamente per smussare
gli angoli e rifinire la facciata di maestosi edifici conoscitivi. Chi si dedica
a questa seconda operazione mi sembra più uno scienziato ; chi si dedica
alla prima mi sembra più un filosofo. (Per usare la terminologia di Kuhn, la
scienza è scienza normale, mentre la scienza rivoluzionaria è filosofia). Ma
si noti che non è l’argomento a far differenza ; è il livello
d’incertezza del nostro procedere. La scientia si trasforma in filosofia ogni
qualvolta la conoscenza, da bene in sicuro possesso, si trasforma nell’oggetto
sfuggente di un desiderio, di un amore." [Bencivenga 2001 :
165-166]
Ma
il discorso può essere spinto oltre. Ancora una volta la storia della scienza
fornisce utili indicazioni:
"...sembrerebbe che, grazie all'intermediazione dei mistici cristiani e
dell'alchimia, la cabala abbia debordato dal quadro della tradizione ebraica
propriamente detta per influenzare le filosofie del Rinascimento da cui è sorta
la scienza classica, certamente in rottura ma segnata dalle sue origini. E' in
queste filosofie del XVI e XVII secolo, che la razionalità mistica
[sottolineatura aggiunta, nda], ben differente dalla scolastica e prescientifica
per molti aspetti, si mostra nel modo più evidente. Prima di Keplero e di
Newton che contraddistinguono la cerniera tra l'antica e la nuova scienza, è un
individuo come Paracelso che rappresenta assai bene questo straordinario
intricarsi di intuizioni che anticipano la scienza del XIX secolo e di pensiero
magico e alchemico razionalizzato in una filosofia della natura il cui potere
esplicativo, privo però di efficacia tecnica, è dei più seduttivi."
[Atlan 1986: 125-6]
Il "debordare" di discipline come la cabala e l'alchimia non ha
luogo, però, solo in direzione di altre discipline ma, in primo luogo e più
estesamente, all'interno delle capacità stesse di pensiero, insinuando così un
legittimo dubbio sulla limitatezza delle possibilità umane: non dice forse il Sefer
ha-Zohar, proprio nelle sue prime pagine, che questo mondo e gli infiniti
altri sono creati con le lettere dell'alfabeto e grazie ai sentieri che
reciprocamente le uniscono? Il punto di forza della phantasia è proprio questo: istituire relazioni non consentite dal
pensiero logico-discorsivo e, di qui, individuare aspetti che altrimenti
sarebbero rimasti nascosti. Una parte di questi aspetti rimarrà di pertinenza
esclusiva del "fantastico": saranno gli oggetti delle pratiche
cabalistiche, alchemiche, magiche, mistiche e, in misura ridotta, quelli che
verranno riassorbiti e istituzionalizzati da una fede religiosa. Un'altra parte,
più esigua, avrà invece un potere stimolante e talvolta fecondante sul
pensiero logico-discorsivo e, in ultimo, sull'attività scientifica.
I vantaggi offerti dalla phantasia
per lo sviluppo della conoscenza non si arrestano qui. La phantasia
procede secondo quello che Edward de Bono ha definito "pensiero
laterale", distinto, complementare, irregolarmente in opposizione al modo
di procedere "verticale" del pensiero logico-discorsivo.
Caratteristica del pensiero laterale è il privilegio della creatività rispetto
alla continuità:
"La creatività non si occupa solamente di generare nuove idee ma
anche di fuggire da quelle vecchie. La continuità è la ragione della
sopravvivenza della maggior parte delle idee, non una ripetuta dichiarazione del
loro valore. Una tale continuità può intrappolare in una considerevole
inefficienza. Liberati dalla prigione di un'idea obsoleta, ci si può spingere
oltre. Inoltre le idee [...] che si sviluppano nel tempo lentamente tendono a
diventare ingombranti. Con una ristrutturazione creativa si può eliminare
l'inefficienza e rimettere le cose insieme in un modo molto più semplice ed
efficace [...] C'è stato un tempo in cui si pensava alla creatività come a un
lusso a disposizione principalmente degli artisti. Questo è cambiato. Oggi la
creatività è vista come una parte essenziale del pensiero. Essendo la
creatività il cambiare delle idee, essa è inseparabile dall'uso delle idee
stesse." [de Bono 1982: 2 e 222]
E'
facile, per l'uomo moderno, guardare con occhio divertito e sprezzante gli
scritti e le esperienze degli alchimisti: un coacervo di ingenuità, di
ingiustificate complicazioni spesso mescolate a solide conoscenze tecniche e, al
tempo stesso, a giustificazioni misticheggianti. E' bene capire però che,
ciononostante, l'alchimia - e, in forme un po' diverse, il pensiero cabalistico
- rivestì un ruolo probabilmente insostituibile per quello che
riguarda la rimozione di idee e di modi di operare ormai sterili. Come
opportunamente sottolineano Chiara Crisciani e Michela Pereira [1996, passim],
l'alchimia è "un sapere che nasce dal fare", è una scientia
e cioè non una "serie di ricette... [ma] un insieme di dottrine che
orientano ed hanno per scopo un fare/trasformare"
che non si inserisce "in una tradizione già esistente, per quanto
indebolita, ma [viene] ad occupare uno spazio vuoto". L'alchimia, come del
resto la magia e l'astrologia giudiziaria, non venne infatti mai ufficialmente
ammessa nel curriculum di filosofia naturale, ma nonostante questo, e forse
anche grazie a ciò, svolse un ruolo di primo piano nel sovvertire il modo
medievale di fare scienza: non più quindi un sapere basato esclusivamente sulle
auctoritates, ma un sapere che non si
sentiva umiliato dal ricorso alle artes mechanicae e ai suggerimenti provenienti dalla pratica di
laboratorio o, addirittura, da quanto si era sedimentato nel sapere popolare.
Dicendo questo non si vuole riabilitare la vecchia immagine storiografica della scientia
medievale come contenitore vuoto e, in quanto tale, assolutamente da eliminare.
E' ormai acquisito che il Medio Evo non fu l' "era oscura" dipinta,
per motivi essenzialmente ideologici, da molti storici, come del resto sempre più
ampia è la consapevolezza che le conoscenze scientifiche medievali
costituiscono il necessario passaggio alla scienza del Rinascimento e, di qui,
alla Rivoluzione Scientifica. E' altrettanto
innegabile, però, che non pochi e non poco cogenti furono i limiti eteronomi
imposti al sapere medievale: in primis
quelli religiosi (tali che era vietato arrivare a conclusioni che
contraddicessero il dettato biblico), quindi delle già citate auctoritates
(con Aristotele in testa a tutte). Gli alchimisti medievali furono in tutto e
per tutto uomini del loro tempo
che si differenziavano però dagli
studiosi impegnati nell'insegnamento universitario, ed è questa la novitas
assoluta che venne percepita da molti loro contemporanei, grazie a una curiositas
che impediva loro di farsi frenare da suddivisioni disciplinari, sociali
o geografiche. Questa curiositas
è causa e conseguenza, al tempo stesso, dell'esclusione di una disciplina
"nuova" come l'alchimia dall'università medievale: causa, perché
l'università non poteva e non voleva tollerare una simile indifferenza alle
suddivisioni, conseguenza, perché è proprio grazie all'esclusione che
l'alchimia poté godere di più ampi margini di libertà. Se è possibile
escludere, in astratto, una scientia
come l'alchimia dall'università, meno facile, per non dire affatto impossibile,
è l'esclusione di chi si dedichi anche a questa scientia.
Gli uomini sono fortunatamente più flessibili delle istituzioni nel porsi in
relazione con vincoli, limiti e suddivisioni. Fu così inevitabile che alcuni
degli uomini di scienza impegnati nell'insegnamento universitario si
dedicassero, al di fuori di questo, alla scientia
alchemica e altrettanto inevitabile che temi, intuizioni e suggestioni, che
erano scaturiti dalla pratica congiunta della sperimentazione in laboratorio e
dello studio accanito dei testi, venissero a influenzare il loro pensiero e, di
qui, a riflettersi sul loro insegnamento universitario (sebbene sia impossibile
stabilire a quale livello di consapevolezza): respinta ufficialmente, l'alchimia
incominciò dunque a esercitare la sua influenza e il suo potere fecondante sul
sapere scientifico già in epoca medievale.
Questa influenza è chiaramente più esplicita in quegli studiosi della Natura
che maggiormente caratterizzarono il corso delle ricerche della loro epoca e, in
particolare, in coloro che ne influenzarono lo sviluppo o addirittura una
svolta: si pensi ad Alberto Magno, a Ruggero Bacone, ad Arnaldo da Villanova per
l'epoca medievale e a Robert Boyle, Robert Fludd, Henry More e
Isaac Newton per la Rivoluzione Scientifica. La ricerca storica di stampo
positivista considera l'interesse per la phantasia
da parte di personaggi di questo tipo, e segnatamente per quelli legati alla
Rivoluzione Scientifica, come un fatto marginale, una personale disposizione al
misticismo, qualcosa insomma da tenere al di fuori dalla sfera della ricerca
scientifica, in forza della incompatibilità e incomunicabilità tra razionale e
irrazionale. Si dovrebbe in realtà parlare di forme diverse di razionalità e
vedere in questi filosofi della Natura degli individui particolari proprio per
il fatto di aver saputo far progredire queste diverse forme di razionalità e di
aver saputo sfruttare la capacità della phantasia
di compiere balzi per poter poi ripercorrere il cammino con quei passi precisi e
regolari che sono tipici del metodo scientifico.
Per
concludere, allora, e per rispondere al quesito iniziale sulla commestibilità
di una frittata di uova alchemiche, si può dire questo: se si pensa che
l'alchimia (e le discipline a lei affini) siano una sorta di prefigurazione
della scienza moderna,
la risposta è no, la frittata non è commestibile, non si ha a che fare, cioè
con qualcosa che, anche con i criteri più elastici, possa essere definito
"scientifico". Se invece si considerano le discipline della phantasia
come attività capaci di influenzare, fecondare e imprimere nuove direzioni
all'attività scientifica, la risposta è sì: alchimia e discipline affini
hanno influito dall'esterno sulla scienza. Per mantenere la figura della
commestibilità, si può dire che avviene come per la patata che da poco
commestibile da cruda, una volta cucinata diventa alimento non solo buono da
mangiare ma anche capace di determinare il corso e la sopravvivenza di intere
comunità.
In una riflessione sulle relazioni tra scienza e mistica Henry Atlan
dice:
"La complementarità tra
scienza e mistica è, a un certo livello, banale nel senso che, nei fatti, è la
stessa umanità che, a livello collettivo, ha elaborato queste procedure di
conoscenza e che, a livello individuale, è possibile adottarle entrambe,
rispettando per ciascuna di esse le regole del gioco che le sono proprie. Ma,
ben a ragione, queste regole sono tali che queste due procedure si escludono
l'un l'altra per il fatto che entrambe pretendono, in linea di massima,
l'esclusività. Ciascuna di esse stabilisce, fin dall'inizio, che l'orizzonte di
sua pertinenza è senza limiti e di essere capace, in principio, di rendere
conto della totalità dell'esistente. Non ci può dunque essere complementarità
logica o cognitiva o anche semplicemente discorsiva tra scienza e mistica. La
complementarità nei fatti, banale, non implica nient'altro di dicibile che la
semplice esistenza fianco a fianco di due procedure che si escludono l'un
l'altra. Ma ciò non vuol dire: esse possono ancora dialogare l'una con l'altra
e questo dialogo può avverarsi fecondo per l'una come per l'altra a condizione,
ancora, che non si tratti di cercare un metadiscorso che le inglobi entrambe.
Questa fecondazione reciproca può essere determinante nella genesi delle
scoperte scientifiche o delle illuminazioni mistiche, ma diventa presto
sterilizzante non appena deborda l'istante della scoperta pretendendo di fondare
delle teorie o delle metateorie, o anche delle meditazioni filosofiche che
bisognerebbe prendere sul serio come oggetti di credenza." [Atlan 1986:
321]
Alchimia, cabala e magia, allora, non come strumenti per produrre nuove
scoperte scientifiche bensì come procedure che hanno consentito, a certuni, di
vedere il sipario della realtà strapparsi e scorgere attraverso i suoi lembi
sfilacciati una realtà nuova, diversa, altrimenti disposta. Forse un altro
sipario:
"... Ci si può mettere a
sedere su un tronco abbattuto o su una panchina in montagna a contemplare un
armento che pascola, e anche soltanto così esser trasportati di colpo in
un’altra vita ! Ci si perde
e a un tratto si ritorna in sé : tu stessa ne hai già parlato.
-
Già, ma come spiegarsi quel che succede ? - chiese Agathe.
-
Per spiegartelo devi prima di tutto capire che cos’è il normale, creatura
sorella ! - dichiarò Ulrich
cercando di frenare con uno scherzo il pensiero troppo precipite. - Il normale
è che una mandria per noi non è altro che carne di vitello pascolante. Oppure
un soggetto pittoresco con uno sfondo. Oppure non ce ne accorgiamo neanche.
Armenti e greggi su viottoli di montagna fanno parte dei viottoli di montagna, e
ciò che si prova alla loro vista si potrebbe misurare soltanto se al loro posto
ci fosse un orologio elettrico o una banca. Altrimenti si medita se sia il caso
di alzarsi o di restare seduti, si trova che le mosche svolazzanti attorno al
branco sono moleste ; si guarda se non c’è un toro là in mezzo ;
ci si chiede dove porta il sentiero ; un’infinità di piccole intenzioni,
preoccupazioni, calcoli e scoperte che costituiscono per così dire la carta su
cui è disegnata l’immagine della mandria. Della carta non si sa nulla, si sa
soltanto del branco di bovini...
-
E a un tratto la carta si strappa ! ..." [Robert
Musil L’uomo senza qualità
(traduzione di Anita Rho) Torino : Einaudi, 1962, parte III, cap.
12]
Si pensi proprio al loro costante sforzo di trovare appoggio proprio nelle auctoritates e alla tendenza ad annullare la loro personalità
individuale mediante la produzione di pseudoepigrafi, in parte certo per
conferire maggiore autorevolezza alle loro opere ma in parte anche in conformità
all'usanza medievale di identificarsi, anche idealmente, con un maestro o con
una scuola.
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