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Alessandro E.M. Pisani

SCRITTI ALCHEMICI E CURIOSI

L’uovo e la gallina... dei filosofi, naturalmente!
rebis
PHANTASIA & CURIOSITAS
NOTE INTRODUTTIVE ALLA RICERCA ALCHEMICA
ALCHIMIA
L' UOVO E LA GALLINA.....DEI FILOSOFI, NATURALMENTE!
LABIRINTO - L'IDENTITA' DI DEDALO
IL LIBRO NELL' ALAMBICCO
L' ALAMBICCO NEL LIBRO
LA FRITTATA ALCHEMICA
Repertorio alchemico, cabalistico, magico e “curioso” Repertorio.pdf.zip 2.230 Kb


Nella singolare e intrigante opera del rosacrociano Michael Maier, l’Atalanta fugiens, in immediata successione, quasi a figura del tema che si cercherà di schizzare in queste pagine, troviamo i seguenti epigrammi:

 

atalanta7

Epigramma VII



Rupe cava Jovis ALES struxerat,in quo

Delituit, pullos enutriitque suos:

Horum unus levibus voluit se tollere pennis,

At fuit implumi fratre retentus ave.

Inde volans redit in nidum, quem liquerat, illis

Junge caput caudae, tum nec inanis eris.

 

 

Epigramma VIII



Est avis in mundo sublimior omnibus, Ovum

Cujus ut inquiras, curas sit una tibi.

Albumen luteum circumdat molle vitellum,

Ignito (em mos) eantus id en se petas:

Vulcano Mars addat opem: pullaster & inde

Exortus, ferri victor & ignis erit.

atalanta8

 

 

            L’interesse, in questo contesto, non sarà però il significato degli epigrammi, nascosto da “similitudini e metaforiche fintioni”, bensì molto più semplicemente per le due figure che vi compaiono: l’uccello e l’uovo che noi, per riprendere il comune modo di dire, chiameremo “l’uovo e la gallina”. Il tema che si vuole qui considerare, come si può già ben immaginare, se l’origine dell’alchimia debba essere vista nella tecnica artigianale o se sia sorta essenzialmente come dottrina e pratica mistica. Per la precisione, non tanto si cercherà di dare una risposta definitiva a così impegnativo quesito, quanto piuttosto di delineare un quadro che illustri le principali prese di posizione assunte dagli studiosi. Purtroppo è invece praticamente impossibile avere testimonianza esplicite da parte degli alchimisti stessi, vuoi perché di norma non si dedicarono a determinare le origini storiche della disciplina se non sotto la forma di elaborazioni mitiche, vuoi perché il leit-motiv implicito o esplicito è sempre stato che la pratica alchemica nulla ha a che fare con la comune manipolazione delle sostanze chimiche.

 

            A senso, parrebbe impossibile che l’alchimia avesse potuto sorgere se non sfruttando e rielaborando conoscenze e tecniche di una preesistente pratica artigianale. E’ necessario, però, non far distorcere il concetto di “alchimia” conformandolo sotto tutti i suoi aspetti all’alchimia a tutti più nota, quella medievale e rinascimentale, e molto spesso stereotipata conseguentemente al suo passaggio attraverso le maglie concettuali delle forme letterarie e iconografiche che ne hanno diffuso l’immagine. Non bisogna dimenticare, cioè, che l’alchimia non è fatta solo di metalli, fornelli e alambicchi, ma anche di vegetali e, cosa ancora più importante, di pratiche sessuali e mistiche. Questo da tempi remoti, di sicuro precedenti a quando la mitica Maria l’Ebrea ideò e insegnò l’uso di una delle procedure basilari della pratica alchemica: la cottura, appunto, “a bagnomaria”. Detto altrimenti, si vuole sottolineare che non è affatto scontato che l’alchimia “derivi” da una preesistente pratica artigianale perché anche nel caso dell’alchimia potrebbe essere avvenuto quello che, in tempi molto più recenti e dunque più facilmente indagabili, è avvenuto nel caso della frammassoneria: una forma di pensiero e di operatività che, radicatasi nell’ambito delle logge dei “liberi muratori”, ispirandosi ai loro strumenti e alle loro tecniche, si maschera, si trasforma  e sicuramente ne trae una nuova vitalità. Nel contempo, però, nella sua forma originaria inizia a morire. Se così fosse avvenuto anche per l’alchimia, significherebbe che per secoli una gran parte degli adepti, e ovviamente la gran massa dei “soffiatori”,  si è accanita nello svolgimento di un compito che non era quello che pensavano essere e che, in ogni caso, non avrebbe potuto essere portato a termine con le metodiche da loro predilette. E’ dunque a causa della fondazionale e inconsapevole ambiguità dell’alchimia a noi più nota che questa stessa ci appare difficilmente afferrabile nella sua globalità e, per quello che ci è comprensibile, spesso di difficile definizione per quello che riguarda la sua funzione. Riprendendo l’immagine dell’uovo, si potrebbe paragonare l’alchimia a quel famoso uovo di struzzo che, nel dipinto di Piero della Francesca Madonna con Angeli e Santi e Federico da Montefeltro orante, pende dalla conchiglia dell’abside sul capo della Madonna: sappiamo che cos’è, ne percepiamo la forma esteriore e le dimensioni ma, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a coglierne appieno la funzionalità limitandoci, tutt’al più, a qualche riferimento alla consistente simbolica dell’uovo. Questa nostra difficoltà, però, non deve certo essere fonte di stupore se gli alchimisti stessi spesso si trovarono nella condizione, come bene ha evidenziato G. Jung, di conseguire certi risultati operando nella prospettiva di ottenerne ben altri. Si pensi alla lunga pratica davanti all’athanor e alla ripetizione di sequenze di preghiere – usate come elementare forma di scansione dei tempi delle operazioni – che trasformavano l’attività dell’adepto all’interno del suo laboratorium in una vera e propria forma di meditazione, con i risultati che, nei migliori dei casi, possono conseguirne. Anche in assenza di un arredo sacro, il laboratorium, con quella tipica ambiguità del mondo alchemico, diventa oratorium e sempre più incerta diventa l’identificazione della natura dell’oro tanto desiderato. Pur in tanta ambiguità, riguardo al primato dell’uovo o della gallina la cultura ufficiale però non ha dubbi:

 

Fabbricare l’oro nel laboratorio, tramutando gli ignobili metalli in quello tanto desiderato, fonte di benessere e ricchezza; ricercare affannosamente la pietra filosofale o la polvere di proiezione, la sostanza miracolosa atta a produrre questa trasformazione; creare colla pietra filosofale stessa o con altri composti l’elisir di lunga vita, il rimedio a tutti i mali, il farmaco che dà all’uomo la giovinezza eterna, queste erano le lusinghiere visioni e i piacevoli sogni degli alchimisti. Ma poiché il mistero attira e seduce, così è accaduto che non solo studiosi autentici, indagatori appassionati dei misteri della  natura e pieni di fede nei risultati delle ricerche sperimentali, ma anche anime mistiche, illusi d’ogni genere, ciarlatani desiderosi di far fortuna, si dedicarono fin dalla più remota antichità all’alchimia. Ma dal fumo dei loro fornelli, dai miscugli dei loro zolfi e dei loro sali, dai crogioli ove fondevano i loro metalli, dagli alambicchi ove distillavano le più strane sostanze è sorta una scienza nobile e grande a cui l’umanità deve infiniti benefici: dalla culla informe e povera dell’alchimia è nata la chimica. [Enciclopedia Italiana v.II (Roma, 1929) voce “Alchimia” a cura di Alberico Benedicenti]

 

Consapevole della difficoltà di adottare posizioni così nette, un approccio culturale più moderno chiude la questione circa la priorità dell’aspetto artigianale o di quello mistico-simbolico, optando per un percorso parallelo e interconnesso:

 

Gli storici hanno a lungo ritenuto di poter giustificare la distinzione di due fasi diverse nello sviluppo dell’alchimia: l’alchimia artigianale e l’alchimia mistica o simbolica; la prima avrebbe dato maggior rilievo all’aspetto pratico ed artigianale dei procedimenti di trasformazione dei metalli, mentre la seconda avrebbe dato luogo ad una complessa attività interiore, collegata con i procedimenti artigianali in forma più o meno diretta e comunque attraverso un ricco processo di similitudini e di simbolizzazione. Ma una prospettiva criticamente più avveduta tende invece, oggi, a interpretare lo sviluppo storico dell’alchimia in forma più unitaria e a considerare l’aspetto simbolico e mistico dell’arte come strettamente connessi con i procedimenti artigianali lungo l’intero corso della sua evoluzione. [Enciclopedia Einaudi v. I (Torino, 1977) voce “Alchimia” a cura di Mario Dal Pra]

 

            Purtroppo gli stessi testi alchemici possono essere di un aiuto solo relativo. Si consideri, infatti, che i più antichi di questi sono, tutto sommato, abbastanza recenti: i papiri di Leida e di Stoccolma sono databili all’epoca di Costantino, un’epoca dunque ben successiva alla nascita della metallurgia e, per lo meno per quello che riguarda il mondo orientale, di pratiche e speculazioni alchemiche di tipo mistico-simbolico. Berthelot, lo studioso francese del secolo scorso a cui si deve la storica edizione dei papiri di carattere alchemico in lingua greca, ben rispecchiando lo spirito della comunità scientifica del suo tempo, risolve la questione della priorità tra “uovo” e “gallina” in modo ben deciso:

 

Je me suis attaché à pénétrer plus profondément ces textes, en faisant concourir à la fois les lumières tirées de l’histoire des croyances mystiques des anciens et de leurs pratiques techniques, avec celle que nous fourni la chimie actuelle: je me proposais surtout d’y rechercher des documents nouveaux sur l’origines des idées des alchimistes relatives à la transmutation des métaux, idées qui semblent si étranges aujourd’hui. Mon espoir n’a pas été trompé; je crois, en effet, pouvoir établir que l’étude des ces papyrus fait faire un pas à la question, en montrant avec précision comment les esperances et les doctrines alchimiques sur la transmutation des métaux précieux sont nées des pratiques des orfèvres égyptiens pour les imiter et les falsifier. [...] la précision de certaines des recettes... opposée à la chimérique pretention de faire de l’or, ajoute un nouvel étonnement à notre exprit. Comment nous rendre compte de l’état intellectuel et mental des hommes qui pratiquaient ces recettes frauduleuses, destinées à tromper les autres par de simples apparences, et qui avaient cependant fini par se faire illusion à eux-mêmes, et par croire réaliser, à l’aide de quelque rite mysterieux, la transformation effective de ces alliages semblables à l’or et à l’argent en un or et en un argent véritables? [Collections des anciens alchimistes grecs... p. 5-6]

 

A prescindere dalla fiducia scientista del Berthelot e di quella certa sua arroganza, tipica del moderno uomo di scienza posto di fronte all’antichità, è un dato di fatto che l’ampia collezione di manoscritti greci non faccia altro che riportare una lunga serie di ricette, di descrizioni di strumenti e di tecniche volte a ottenere l’imitazione dell’oro, dell’argento, di pietre preziose e della porpora, sebbene certe invocazioni e le ingiunzioni a mantenere il segreto possono ben far pensare che i manoscritti non siano solo carnet  di appunti a opera e a uso di artigiani. Uno dei più grandi studiosi contemporanei di alchimia e dell’alchimia greca in particolare, Robert Halleux, dice al proposito:

 

Jusqu’au seuil de l’époque moderne, le savoir artisanal se transmet généralement par voie orale. Sa codification en manuel le fige, ce qui crée un écart entre tradition écrite et pratique vivante. Peu à peu, le recueils ne refletent plus la connaissance courante, mais sont un écho déformé d’une technologie antérieure, transmis par des scribes pénétrés de l’idée que l’écrit est plus important que la pratique. Mais la déformation elle non plus n’explique pas tout […] Du fait, il est extrêmement malisé de distinguer un réceptaire “technique” d’un ouvrage de magie naturelle ou d’un texte alchimique, tant la tradition a multiplié les interférence. Ces ambiguïtes tiennent au but même de ce genre littéraire, collectionner de pures pratiques de tous ordres, avec le soin jaloux de rien laisser se perdre qui soit “bien expérimenté”…, c’est à dire le plus souvent, par l’autorité d’un text antérieur. C’est du reste pourquoi on trove dans le même texte des recettes à peu près semblables.” [Les alchimistes grecs…1981: 61-2]

 

In ogni caso, la conclusione è per Halleux inequivocabile:

 

Par leurs connexions avec tradition technique et tradition alchimique, les papirus de Leyde et de Stockholm sont donc les temoins privilegiés du processus mal connu qui a conduit de l’artisanat vers l’alchimie. Les papirus sont des compilations. Leur contenu technique reflète… la pratique de plusieurs générations d’artisans. Mais, dans leur forme ultime, ils ne sont plus destinés aux ateliers […] Les recettes de Leid. Et de Holm. Sont essentiellement des recettes d’imitation. Or cette notion de mimhsis est au centre de la conception ancienne de la technique, et l’idée de transmutation y est présente en germe dés les origines. L’idée que la technique des hommes se calque sur les processus naturels et résulte ainsi d’un enseignement donné par la nature est répandue en Grèce depuis une époque tres haute et domine toute la réflexion sur la technique dans l’Histoire Naturelle de Pline. [ibid. p.75-6]

 

Che l’alchimia sia sorta da una specie di ibridazione era stato peraltro già affermato da uno dei più profondi studiosi dell’ermetismo, A.J. Festugière, che una cinquantina d’anni fa scriveva nella sua Révélation d’Hermès Trismegiste:

 

L’alchimie gréco-égyptienne, d’où ont dérivé toutes les autres, est née de la rencontre d’un fait et d’una doctrine. Le fait est la pratique, traditionelle en Egypte, des arts de l’orfèvrerie. La doctrine est un mélange de philosophie grecque, empruntée surtout à Platon et à Aristote, et de rêverie mystique. Cette fusion ne s’est pas faite en un jour ; si malaisé qu’il soit d’en déceler le progrès, il semble toutefois qu’on puisse distinguer trois phases successives : l’alchimie comme art, l’alchimie comme philosophie, l’alchimie comme religion.” [Tome I, p. 218-219]

 

Sempre nel corso degli anni ’50, però, studiosi meno interessati agli aspetti spirituali dell’alchimia propendono per una filiazione dell’alchimia mistica a partire da quella artigianale, spiegandola come l’esito di una enfatizzazione di quell’aspetto religioso/superstizioso inerente all’attività metallurgica secondo il quale questa non potrebbe andare a buon fine senza un intervento superiore :

 

            “... l’alchimia presenta una duplice essenza : una esteriore o essoterica, una intima o esoterica : alla prima si riferiscono i tentativi di preparare una sostanza, la pietra filosofale, o semplicemente la ‘pietra’, dotata del potere di trasformare i metalli vili, piombo, stagno, rame, ferro e mercurio, nei metalli preziosi oro e argento. La ‘pietra’ era anche talvolta conosciuta come ‘elisir’ o ‘tintura’ ai quali si attruibuisce il potere non solo di trasformare dei metalli ma anche quello di prolungare indefinitamente la vita. La supposizione che essa si potesse ottenere soltanto per grazia divina e favore celeste condusse all’affermazione dell’alchimia esoterica o mistica, che gradualmente si evolse in un sistema mistico nel quale la materialistica transustanziazione dei metalli divenne puramente simbolo di una trasmutazioe dell’uomo sensuale in un essere perfetto, mediante la preghiera e la sottomissione alla volontà di Dio. Pur essendo le due forme di alchimia commiste indissolubilmente, tuttavia in alcuni trattati di carattere mistico, appare chiaramente che gli autori, non interessati alla sostanza materiale, si valgono del gergo alchimistico-essoterico col solo proposito di esprimere concetti e aspirazioni d’ordine teologico, filosofico o mistico.” [Holmyard 1959: 6]

 

            Detto per inciso, un analogo componente religioso/superstizioso  si può constatare in ambito universale : dalla presenza di uno sciamano all’apertura di una miniera in Malesia, alla preghiera che il capo dei Bayeka (Africa), accompagnato da un prete e dagli operai, recita prima di aprire una nuova miniera di rame, alla castità che gli haitiani ritengono indispensabile al fine di trovare l’oro, alle cerimonie religiose con precisi connotati sessuali che presso molte tribù africane preludono e accompagnano la costituzione di un forno o l’inaugurazione di un incudine, di sacrifici cruenti che, specialmente in Africa e in Cina, accompagnano le attività  metallurgiche più importanti (cfr. Mircea Eliade 1987). A quest’ultimo riguardo, con l’instaurazione di un legame tra sacrificio cruento, animale o umano, e buona riuscita di una fase di un’operazione metallurgica, si apre probabilmente la possibilità di considerare il successo di un procedimento alchemico come ultima tappa del sovrumano sforzo di sconfiggere la morte, come se la vita sacrificata nel processo metallurgico potesse essere, in un certo qual modo, compensata conferendo l’immortalità a chi perviene al termine dell’opera alchemica :

 

“I cinesi credevano che l’oro prodotto attraverso i processi di sublimazione e di trasformazione alchemica fosse dotato di una vitalità e di una efficacia superiore ella lotta per raggiungere la redenzione e l’immortalità ; non era l’oro in quanto metallo che desideravano, ma l’oro di una qualità trascendentale che potesse promuovere la spiritualizzazione del corpo.” [Laufer 1912]

 

Sullo stesso argomento, Mircea Eliade:

 

            “L’élixir de longue vie n’est autre chose que l’immortalité [...] Quant à l’or, la pierre philosophale [...]  il avait une fonction purement spirituelle (infuser dans l’homme le principe imperissable du yang). La formule qui permettait d’obtenir l’ elixir de longue vie servait aussi quelquefois à fabriquer l’or alchimique. Ce qui prouve encore une fois que l’ ‘or’ dont parlent nos textes avait une valeur ‘mystique’, dans le sens que son assimilation conferait l’immortalité.” [1978: 30]

 

E’ appunto a causa delle peculiarità dell’oro e dell’argento che vi è chi tende ad affermare il primato dell’arte sacra su quella artigianale :

 

“L’alchimia esiste almeno dalla prima metà del primo millennio prima di Cristo e, probabilmente, dagli inizi dell’età del ferro. Come sia riuscita a resistere così a lungo, e in civiltà così profondamente diverse... è un problema che la maggior parte degli storici risolverebbe semplicemente ricordando come l’umanità si sia lasciata più di una volta tentare dalla speranza di arricchirsi rapidamente ricavando l’oro e l’argento dai metalli più volgari : e questo fin quando la chimica sperimentale del XIX secolo non ha dimostrato che un metallo non può essere trasformato in un altro. La verità è comunque un’altra e, in un certo senso, addirittura opposta. L’oro e l’argento erano già metalli sacri prima ancora che venissero assunti come misura di tutte le transizioni commerciali. In quanto riflessi terreni del sole e della luna, lo erano anche di tutte le realtà dello spirito e dell’anima che si rapportano alla coppia celeste.” [Burckhardt 1986: 15]

 

Per quello che riguarda più propriamente l’attività alchemica, lo stesso autore fa notare che :

 

“Fin dai tempi antichi, nell’alchimia sono riscontrabili due tendenze. La prima presenta una natura eminentemente artigianale : il simbolismo dell’ ‘opera interiore’ non vi compare che come il sovrappiù di un’attività professionale e si trova quindi menzionato solo occasionalmente e in modo del tutto accessorio. La seconda sembra invece servirsi dei procedimenti della metallurgia solo in quanto origine di possibili analogie, e ci si può ragionevolmente domandare in che misura tali procedimenti siano mai stati impiegati ‘esteriormente’. Si è così creduto possibile distinguere tra un’alchimia di tipo artigianale, presumibilmente più antica, e un’alchimia  detta mistica e per la quale è ipotizzabile uno sviluppo più tardivo. In realtà, converrà vedere nell’una e nell’altra due aspetti diversi di una sola e identica tradizione.”[ibid. p. 20]

 

All’opposto, altri studiosi non solo vedono l’alchimia come una diretta derivazione dalle attività artigianali ma anche sottolineano la sua funzione mediatrice tra artigianato e scienza :

 

“Possiamo definitivamente affermare che gli alchimisti furono i primi scienziati nel pieno senso del termine. Cioè, essi non contemplarono semplicemente i fenomeni ma cercarono di dedurne delle regolarità ; non fecero solamente dei modelli su principi matematici per riprodurre l’operazione dei fenomeni. Assunsero un atteggiamento del tutto attivo. Cercarono di cogliere la natura del processo stesso e di mettere alla prova le loro idee  in laboratorio, e di ricreare e ripetere i fenomeni in condizioni controllate. Poco importa il fatto che i loro controlli fossero troppo spesso inadeguati e rozzi. Essi compirono il tentativo di cogliere e ricreare i processi e questo è l’importante. In ciò mostrano il loro legame con il mondo dell’artigianato, poiché l’essenza del tutto è di comprendere i processi tanto da essere in grado di riprodurli. Gli alchimisti così rivelano il passaggio degli artigiani nel mondo della contemplazione scientifica e della elaborazione dei modelli. La contemplazione diventa l’aspetto teoretico dello sforzo attivo di controllare  e mutare la materia ; l’elaborazione dei modelli è l’opera pratica di afferrare, modificare e mutare la realtà. L’alchimista accetta la natura per ciò che è, allo scopo di trasformarla in ciò che potrebbe essere ; accetta se stesso per ciò che è, allo scopo di cambiarsi in ciò che potrebbe essere. La solitaria lotta con sostanze in ampolle o alambicchi, diviene la battaglia di tutti gli uomini per liberarsi dagli impedimenti esistenti e  avanzare fino a una sfera qualitativamente nuova di esperienza, una nuova unione sociale.”  [Lindsay 1984: 397]

 

            Di fronte a una considerazione così positiva del ruolo dell’alchimia, per quanto indubbiamente di parte e distorta, si trovano però anche vere e proprie stroncature. Non si dimentichi infatti che l’ambiguo statuto dell’alchimia - attività artigianale o pratica mistico-simbolica - non ricopre tutta l’area concettuale che essa occupa. Non si può dimenticare, cioè, che spesso all’alchimia è stato associato il concetto di “attività fraudolenta” : non solo e non tanto, quindi, tentativo di imitare la natura, di forzarne il corso, di accelerarne i tempi, bensì molto più semplicemente e meno gloriosamente di illudere, ingannare e truffare avidi creduloni. Per alcuni l’oro alchemico altro non sarebbe che quello che l’abile truffatore riesce a intascare sfruttando l’altrui curiosità, ingenuità e sete di facile guadagno. Cosa che di sicuro ha avuto luogo molte volte. E’ facile capire come questo pregiudizio - giustificato o no  che sia - abbia potuto trovare facili conferme da un altro pregiudizio di analogo tenore il quale, a sua, volta, sarà dal primo pregiudizio ulteriormente confermato.  Bisogna premettere che nella storia mitizzata dell’alchimia la figura dell’ebreo ha sempre ricoperto un ruolo di spicco, vuoi perché si fanno risalire le origini dell’alchimia all’attività di personaggi biblici (Adamo, Set, Tubalcain, Noè, Abramo, Sara, Giacobbe, Giobbe, Davide, Isaia e soprattutto Salomone e Mosè), vuoi perché l’ideazione di certe operazioni è sempre tradizionalmente attribuita a personaggi ebrei storici o pseudostorici, vuoi perché in molti trattati alchemici e rinascimentali l’ebreo compare sotto la veste di maestro segreto che viene ad affidare all’adepto i necessari segreti di cui egli, grazie all’appartenenza alla razza eletta, è depositario fin dalla più remota antichità. Quanto al pregiudizio, è noto come alla figura dell’ebreo siano associati i caratteri di abilità nel commercio, avidità e avarizia fuori misura e, di conseguenza, quanto meno spregiudicatezza al fine di ottenere l’unico bene di cui, quasi ovunque nel mondo cristiano, poteva godere : il denaro o, ancor meglio, ciò che al denaro conferiva valore : l’oro e l’argento. Con la congiunzione dei due stereotipi - l’ebreo con una particolare disposizione all’alchimia e l’ebreo avido truffaldino - era inevitabile che l’alchimia stessa venisse a ricevere una connotazione negativa. Ecco allora come si espresse lo storico della filosofia Cornelius de Pauw (1739-1799) nella sua opera Recherches philosophiques sur les Egiptiens et les Chinois (Berlin, 1773) :

 

“Gli Ebrei dell’Egitto furono in gran parte rovinati sotto il dominio di Cleopatra, che detestava questa colonia di monopolizzatori e usurai venuti dalla Palestina sotto i primi Lagidi... ho il sospetto che gli ebrei siano stati i primi ad avere inventato la fandonia insensata che riguarda la trasmutazione dei metalli, di cui attribuivano il segreto a una donna ebrea, a un mago persiano e a tutti gli antichi sacerdoti d’Egitto, i quali non ci avevano mai nemmeno pensato... Questi allegoristi ebrei non erano inconsapevoli del fatto che gli egiziani impegnati nella lavorazione del vetro... conoscevano le procedure segrete per forgiare le pietre preziose e i vasi di murrina, che qualche volta venivano a costare più delle pietre preziose. Queste operazioni segrete di lavorazione del vetro di per se stesse permisero ai visionari di sospettare che i sacerdoti d’Egitto dovessero essere molto versati in alchimia. Tuttavia non dubito affatto che che questa non fosse la vera fonte di tutte queste fandonie, che germinarono nello spirito degli arabi quando si applicarono alla scienza, poiché furono essi a porre i primi fondamenti della vera chimica, o per lo meno risuscitarono quest’arte che era andata quasi completamente perduta.” [p. 288]

 

            Come talvolta avviene, però, anche la denigrazione compiuta sulla base di stereotipi - in questo caso di tipo razziale - possono arrivare a sfiorare una parte di verità. Detto altrimenti, quando de Pauw afferma con sufficienza che gli ebrei sarebbero stati i primi a credere nella “fandonia insensata”  di poter trasmutare i metalli, probabilmente non è nel vero per quello che riguarda il primato, ma sicuramente individua uno degli aspetti più radicati del pensiero ebraico : la possibilità di trasmutare non solo i metalli vili in oro e argento, ma anche, sotto precise condizioni, qualsiasi cosa in un’altra. Questo aspetto verrà codificato in ambito cabalistico mediante le tecniche della gematria, del notarikon e della temurah e, non a caso, all’interno di quest’ultima tecnica la trasformazione di una parola in un’altra - e quindi  di una cosa in un’altra - viene denominata tseruf, lo stesso termine che viene usato per la trasmutazione alchemica. La cabala, però, accanto a elaborazioni e vere e proprie innovazioni, innanzitutto attinge a un patrimonio millenario fissato dalla Torah e dall’aggadah (il patrimonio narrativo). Ora, che gli ebrei considerassero possibile modificare la natura di qualcosa modificandone il nome è accertato fin dai racconti biblici, valga per tutti l’esempio di Abram che da sterile diventa fecondo nel momento in cui il suo nome viene mutato in Abraham, quando cioè diventò, da “padre elevato” quale prima era, “padre di molte nazioni”. Se, dunque, gli ebrei fin dai tempi più antichi consideravano possibile mutare una cosa in un’altra mutandone il nome oppure stabilivano una peculiare equivalenza tra oggetti o azioni diversi sulla base dell’equivalenza numerica (per essere precisi : gematriaca) del valore delle lettere che formavano le parole loro associate, è chiaro che sotteso a questo loro convincimento stava lo stesso assunto che sta alla base dell’alchimia, vale a dire che “ogni forma visibile della materia - minerale, vegetale, animale o umana - fosse la molteplice manifestazione di un’unica basilare, essenziale sostanza.” [Patai 1997, p. 30] Stando così le cose, anche se come sempre in simili casi è impossibile stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina, anche nel caso dell’alchimia ebraica si può immaginare che le due attività - artigianale-metallurgica e mistico-simbolica - abbiano preceduto in parallelo fin dai tempi più remoti, la prima facendo talvolta ricorso alla seconda, o più in generale a riti religiosi, per propiziarsi il necessario aiuto superiore, la seconda ispirandosi e sfruttando la prima per tradurre in immagini”, certo ben poco comprensibili ma almeno trasmissibili, insegnamenti che vagliano spesso la soglia del dicibile e che in ogni caso necessitano di essere impartiti con la massima cautela... per altro non fosse che per il fatto di arrivare a valicare anche con una certa disinvoltura i limiti imposti dalla religione. E’ a causa dell’opacità di queste immagini, di questi insegnamenti, che la tradizione alchemica poté  anche snaturarsi da un lato nelle più assurde e insensate pratiche di laboratorio e, dall’altro lato, nelle più insensate fantasticherie. A quest’ultimo riguardo,  è bene porre la più scrupolosa attenzione in virtù dell’intrinseca pericolosità del fantasticare, ben diverso, come si vedrà, dalla fantasia. Dice al proposito Elemire Zolla :

 

“In latino fantastico si diceva anche cerebrosus, che in italiano si traduce lambiccato, ed è aggettivo pertinente a chi si stilla, si rompe la testa invece di abbandonarsi e che perciò smarrisce i doni della prontezza naturale. Il fantastico non ha coscienza pura, ma ha coscienza di aver coscienza : è compiaciuto... La fantasticheria può essere di tre specie : se si trastulla con il passato è il compiacimento, se gioca con il futuro è il desiderio, futile e obbrobriosa occupazione che sradica la forza della volontà ; se tenta di impegnare altri nel suo vizio è la bugia disinteressata, la chiacchera fantastica.” [Zolla 1964: 8-9]

 

Il mondo della fantasia - che, per evitare fastidiosi fraintendimenti, meglio sarebbe denominare mundus imaginalis - è invece quel mondo che, se correttamente visitato, investigato e inteso, consente all’uomo di recuperare quella conoscenza, quelle consapevolezze, quella capacità che egli ha perduto delegandone sempre più il controllo a organismi collettivi di vario tipo (società, religioni...). Sempre più, col tempo, l’uomo ha assunto la funzione di persona, vale a dire di maschera irrigidita nei pochi ruoli che le sono consentiti, ma dietro la quale ancora vive, in tutta la sua profondità e in tutta la sua complessità, quel mondo che egli è stato costretto a dimenticare. E’ il mondo di cui si può arrivare a scorgere qualche scorcio nel sogno, nella creazione artistica, nel superamento di un’iniziazione correttamente condotta, nell’innamoramento... e, last but not least, in quel processo di “separazione” (solve) in cui ci si incammina durante il lungo lavoro in laboratorio, con le sue lunghe meditazioni su ciò che è avvenuto e le sue preghiere : passi necessari prima della sintesi conclusiva del coagula. La ricerca alchemica, però, non può essere ridotta al solo impulso alla conoscenza di sé. A questo riguardo Arturo Schwarz ha individuato altri tre modelli che danno forma alle correlazioni tra alchimia e pensiero ebraico :

 

“... il secondo [modello] si riassume nelle tre parole greche che aprono numerosi testi alchemici : EN TO PAN... Questa visione unitaria del tuto presuppone la fondamentale unità dell’universo e quindi la totatlità è sinonimo di completezza e di compiutezza a tutti i livelli... Il terzo principio fondamentale del pensiero alchemico... è una logica conseguenza del postulato dell’unità del tutto e può essere reso con una sola parola, Advaita, che nel’Induismo esprime il concetto della ‘nondualità della dualità’. Per i cabalisti come per gli alchimisti i due poli di una polarità sono in rapporto di complementarità, più che di conflittualità... Il problema che si pone all’alchimia, alla Cabbalà e anche alla psicologia analitica è quello di riportare alla nostra coscienza questa straordinaria realtà : in altre parole di dotarci della consapevolezza di questo fatto meraviglioso : noi siamo maschi e femmine al tempo stesso... La consapevolezza è, innanzitutto, comprensione del proprio sé, e questo ci porta al quarto e ultimo modello fondamentale sia del sistema cabalistico che di quello alchemico : l’amore come strumento di conoscenza.” [1999: 45 segg.]

 

Si è parlato, però, di modelli che presumibilmente solo nei casi migliori sono stati opportunamente realizzati. Ma all’imperfezione dei singoli individui, ai loro limiti, si è associato qualcosa di ben più potente : l’invadenza, l’esclusivismo, il dogmatismo e l’intolleranza di certe religioni. Bene dice Schwarz a questo proposito :

 

“La degradazione dell’alchimia dal suo scopo originario - una ricerca esoterica di consapevolezza - al rango di una semplice ancella, della medicina in Oriente e della chimica in Occidente, si verificò in India durante il Medioevo, come conseguenza dell’invasione musulmana, e in Occidente nel III secolo, con il declino della cultura dell’Egitto ellenistico provocato dal diffondersi del cristianesimo... In realtà queste due religioni non si limitavano a portare con sé una visione completamente diversa rispetto ai due assunti fondamentali dell’amore e della conoscenza, ma il loro approccio comportava due perniciosi postulati che negavano l’essenza stessa del pensiero cabbalistico e alchemico. Il primo di questi postulati è la credenza in una divinità completamente estranea a noi stessi... Il secondo postulato stabilito dal Cristianesimo e dall’Islam derivava da una estrapolazione del principio di causalità, che presuppone un principio lineare tra causa e effetto. Ma il principio di causalità, portato alle sue estreme conseguenze logiche, è anche responsabile di quell’approccio ‘scientifico’ e ‘analitico’ della realtà che nega la visione olistica del pensiero cabbalistico e alchemico.” [ibid. p. 50-1]

 

            Come si è potuto vedere, la contaminazione tra alchimia in senso mistico-simbolico e tecnica  - sia essa la chimica o la medicina - non è peculiare del solo mondo occidentale ma ha avuto un analogo sviluppo anche nel mondo ebraico e in quello orientale. Sembra anche, però, che l’alchimia di tipo mistico-simbolico abbia un’origine del tutto slegata dalle tecniche artigianali e, per quello che riguarda la cronologia, sembra che sia a queste parallela se non addirittura  precedente. Solo lo svilimento causato da totalitarismi di vario tipo avrebbe favorito la contaminazione e il degrado.

E’ facile capire a questo punto come la priorità dell’uovo o della gallina non possa ricevere una risposta definitiva, ma è facile capire, anche, come qualsiasi risposta sia prevalentemente determinata dalla predisposizione ideologica di chi la formula. L’unica cosa certa è che l’alchimia, nel suo decadere, ha riflesso la sorte di gran parte dell’umanità, passando da un dinamico equilibrio policentrico al pericoloso equilibrismo di chi va da un punto all’altro percorrendo una e una sola sottile linea. Il senso delle cose si è fatto sempre più definito e ristretto e non più ogni aspetto del mondo ha ricevuto senso da quello di tutti gli altri. Il fuoco dell’athanor si è fatto indistinguibile da quello che si accende nel camino. Nel mondo moderno, nel pensiero razionale improntato dalla linearità e dal principio del terzo escluso, di circolare esistono più che altro dilemmi come quello che ha stimolato queste pagine : le fauci dell’uroboro afferrano la coda e tornano alla mente le parole del nano di Zarathustra “...ogni verità è curva”. Si lascia quindi ognuno propendere per la priorità dell’uovo o della gallina, non senza ricordare però che l’uovo, e quindi la gallina, è comparso nel mondo dell’alchimia non solo in senso simbolico[1]... come questo racconto può illustrare :

 

“Dopo aver fallito anche coi sali e gli acidi, feci la conoscenza di un colto monaco che diceva di chiamarsi dottor Goffredo e aveva l’aria di sapere tutto sulla Pietra Filosofale. Egli non avrebbe voluto far lavorare con lui neppure il mio amico e collega, ché troppo rande era il suo segreto. Ma, dopo molte e insistenti preghiere, gli consentì di partecipare. Prendemmo dunque 2000 uova di gallina, che facemmo ben rassodare dentro un grosso pentolone. Poi sedemmo a sgusciarle, una per una.  Successivamente calcinammo i gusci nel forno fino a che non furono candidi come la neve. Mettemmo le chiare e i tuorli nel letame di cavallo, lasciandoli marcire per bene, e poi distillammo l’intera massa per una trentina di volte, ricavandone un liquido biancastro e una sostanza oleosa. A dire il vero quella singolare impresa fu così pazzesca che provo persino vergogna a descriverla nei particolari. Perdemmo comunque un anno e mezzo. E tutto per colpa di quel sapiente dottore che io ritenevo incapace di mentire. Invece mentiva meglio di tutti i precedenti, messi insieme. Continuava a menarmi per il naso dicendo che stava creando l’Universale, e siccome io pensavo che l’Universale fosse proprio quello che ci voleva, non sapendo da che parte cominciare mi ero buttato nella faccenda delle 2000 uova, sebbene avessi già lavorato con quel materiale. E neppure con le uova ottenemmo alcunché. Quando ce ne rendemmo conto, io e il mio socio avevamo l’acqua alla gola. Non ci restava che nuotare, contando solo sulle nostre forze. Pensammo che, invece di farci aiutare dai manovali, che dovevamo pagare, avremmo fatto meglio a lavorare da soli. Io stesso imparai a distillare, e costruimmo con le nostre mani dei forni nuovi e inconsueti. Producevamo anche gli acidi e con essi scindevamo le sostanze...” [il racconto si riferisce alla nota figura di Bernardo Trevisano, cit. in Kurt K. Doberer, p. 89-90]



[1]  Roger Bacon  nella sua Epistola de secretis operibus artis et naturae dice a proposito dell’uovo filosofico : “Voglio dissolvere l’uovo dei filosofi e investigare le sue parti perché questo è il primo passo prima delle altre cose. Perciò purifica la calx diligentemente con acqua di alkali e altre acque affilate e macina con varie triturazioni con sali, e bruciala con molte cotture, cosicché diventa pura terra, interamente libera da altri elementi... Capisci, se pensi, perché senza dubbio sarà un composto di elementi, e così è una parte della pietra che non è una pietra, ed è in ogni uomo e in ogni posto dell’uomo, e così la troverai in questo posto in ogni momento dell’anno.” [cap. IX]

 


 

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