Ma nell’ultima bolgia delle diece
me per l’alchimia che nel mondo usai
dannò Minos, a cui fallar non lece.
[...]
sì vedrai ch’io son l’ombra di
Capocchio,
che falsai li metalli con alchimia :
e te dee ricordar, se ben t’addocchio,
com’io fui di natura buona simia.
[Dante
Inf. XXIX 118-20 ; 136-39]
Philosophres
speken so mystily
In
this craft that men can not therby,
For
any wit that men han now-a-dayes
[Chaucer
Canon’s Yeoman’s Tale VIII
1394-96]
Do mit
ich nit vergess hie by
Den
grossen bschisss der alchemy
Die macht
das sylber / golt / vff gan
Das vor
ist jnn das stocklin gtan
Sie
goucklen / und verschlagen grob
Sie lont
eyn sehen vor eyn prob
So würt
dann bald eyn vncken druss
[Sébastien
Brant Das
Narrenschiff [La nave dei
folli] 1494
Non credo più eccellente architettura
sia sotto il ciel, né mi par maraviglia
che qua stan quei che del sapere han
cura :
tutto di pietra lucida e vermiglia
qual rubin fiammeggiante era murato,
convenïente albergo a tal famiglia.
Questo è quel sasso tanto desïato
da l’avaro alchimista e, come ho
inteso,
visto da pochi, e pur d’assai cercato ;
Questo è quel sasso qual ha tanto
acceso
col suo splendor alcuni avari ingegni
che per averlo quasi il tutto han speso :
spirti inquïeti sono e tutti indegni
esser del filosofico collegio,
poi che avarizia sol par che glie
insegni.
[Antonio
Fileremo Fregoso Riso de Democrito 1506]
Follibus illa tuis loca, Mercurioque
necando,
Quam latebras Catulae, num magis apta
putas ?
Lalleris, ad Meroen satis properare
fuisset,
Namque opera assidui uestra coloris
egent.
Quod si iudicium Mazone requiris amici,
Nec
tibi, nec cuiquam, quod petis eveniet.
Sed
cinis, & fumus, puluis, suspiria, uerba,
Sunt erunnosi lucra magisterij.
Esse
potest, ut forte tuus labor utile quicquam
Post
uarios casus eruat inde tibi.
Sed nec tantus honor, nec tanta est
copia lucri,
Talibus
in curis tempus ut omne teras.
[Tito Vespasiano Strozzi “Ad Mazonum laudans Venetias, ac admonens, ne fallaci arti,
quam dicunt Alchimiam, incubat amplius” in
Strozii poetae, pater et filius
1513]
Alas !
I talk’d
Of
a fifth monarchy I would erect,
With
the philosopher’s stone, by chence, and she
Falls
on the other four straight.
[Ben
Johnson The Alchemist Act IV, sc. 5,
v. 478-81]
Your
Lapis Philosophicus ? ‘Tis a stone, and not
A
stone, a spirit, a soule, and a body ;
Which
if you do dissolve, it is dissolved,
If
you coagulate, it is coagulated,
If
you make it to fly, it flieth.
[Ben
Johnson The Alchemist]
Quot Protei vultus, tot sunt mihi nomina
& artes,
Nulla est ingenio fraus male nota meo.
Tam catus
& mendax, vafreque impostor, ut
esse
Possim
chemistes, augur, & astrologus.
[George
Buchanam Icones “Mercurius”]
Farfalle affumicate e notte e giorno
State vegliando a stolti fuochi intorno
[...]
Non carbon violenti, accesi faggi,
Per l’Ermetica Pietra usano i Saggi
[...]
O, del divino Ermete
Emuli figli, a cui l’Arte paterna
Fa che Natura appare senza alcun velo
Voi sol,
sol voi sapete
Come mai fabbricò la Terra e il Cielo
Da l’indistinto Caos la Mano Eterna,
La Grande Opera nostra
Chiaramente vi mostra
Che Dio nel modo istesso onde è
produtto
Il fisico Elisir compose il tutto.
[Fra
Marcantonio Crasselame Chinese
(marchese
Santinelli) Ode Alchemica]
T
he
sickness hot, a master quit for fear,
H is house
in town, and left one servant there
E
ase
him corrupted, and gave means to know
A Cheater,
and his punk ; who, now brought low,
L eaving
their narrow practice, were become
C ozeners
at large, and only wanting some
H ouse to
set up ; with him they here contract,
E ach for a
share, and all begin to act.
M uch
company they draw, and much abuse,
I n casting
figures, telling fortune, news,
S elling of
flies, flat bawdry, with the stone,
T ill, it,
and they, and all, in fume are gone.
[Ben Johnson The Alchemist Argument]
Un
certo illuminismo prima, il positivismo e lo scientismo contemporaneo poi, hanno
voluto o non hanno saputo vedere nell’alchimia nient’altro che una sorta di
predecessore ingenuo e mistificatore della chimica moderna. Con questo giudizio
hanno liquidato la plurisecolare ricerca alchemica nello stesso modo in cui per
tanto tempo si è liquidato il sapere dei cosiddetti popoli primitivi : con
un certo interesse verso l’“esotico”, il “misterioso”, e con il
sorriso compiaciuto di chi è conscio della propria superiorità.
Se
proprio si vogliono addurre delle giustificazioni per giudizi così affrettati e
tendenziosi, possiamo ricordare che la chimica moderna si trovò a nominare le
sostanze elementari con gli stessi termini che già l’alchimia aveva
ampiamente utilizzato nella descrizione dei processi di trasmutazione e nella
formulazione di ricette. Ed è proprio in queste descrizioni e in queste
ricette, o meglio nella loro voluta oscurità e ambiguità, che possiamo
identificare una seconda parziale giustificazione di chi ha travisato il senso
del pensiero alchemico.
Ma
la giustificazione non può che essere parziale, perché se descrizioni e
ricette erano oscure e ambigue, veniva invece apertamente dichiarato che dietro
il significato apparente delle parole andava ricercato il vero significato,
dal quale andava tenuto lontano chi non era un adepto :
“...prego
i figli dell’Arte di questa cosa soltanto, di accogliere con animo grato il
mio lavoro meritandoselo e quando avranno reso manifesto ciò che è nascosto
e per volere di Dio saranno giunti nel desiderato porto Filosofico... escludano
tutti gli indegni da quest’Arte...” [Sendivogius
Novum Lumen Chymicum]
Tale
esclusione era dettata non tanto dall’arroganza di chi sa, ma dalla profonda
umanità che ha sempre permeato i veri Filosofi :
“Magisterium
nostrum est perditio et ruina bonurum, temporis ac sanitatis, illi cui verae
materia sunt incognitae, et verum labyrinthus nescienti, et operationis modum
ignoranti ; et est contra thesaurus incomparabilis, et clavis januam
aperiens omnibus artibus, conoscenti et scienti.”
[Magni philosophorum arcani revelator
1688: 3-4]
Anche
ammettendo che non tutti, anzi ben pochi, possono entrare in possesso di
questa chiave, non si può non convenire che tutti devono capire che
“...non
sono ne solfo, ne Mercurio, ne Metalli del Vulgo, che sono morti mà che sono più
pretiosi, & se ne trovano per tutto, & si moltiplicano con poca spesa
hauendone ogn’uno, per non poter sostentare la lor vita senza questo
pretiosissimo oro, & argento viui, & non morti, come quelli che son
cercati dalli ciechi, più che ciechi con li sensi stupidi.”
[Quattrami 1587: 73]
e
che quindi i legami di parentela tra chimica e alchimia vanno opportunamente
riconsiderati.
Non
si può escludere, tuttavia, che l’uso di parole
similitudinarie & metaforiche fintioni sia anche parzialmente
determinato dal desiderio di sfuggire alla condanna della Chiesa. La
persecuzione degli alchimisti, dalla quale non sono esenti aspetti
utilitaristici (desiderio di carpire il segreto della trasmutazione dei metalli
vili in oro) o protezionistici (lotta alla contraffazione di monete), era già
iniziata ai tempi di Diocleziano (Acta
Sancti Procopii, AASS, 8 luglio - t. II, p.557) con la distruzione di testi
chimici, era proseguita con Anastasio I (491-518), sotto il quale venne
condannato all’esilio Giovanni Istmeo (falsario con pretese di alchimista),
fino a sfociare con il decreto di Giovanni XXII Spondent
quas non exhibent
o con la condanna, geograficamente più limitata, del decreto del 17 dicembre
1488 da parte del Consiglio dei Dieci di Venezia
. Posizione difficile, quella dell’alchimista che, se preso alla lettera,
correva il rischio di essere considerato un falsario e, se adeguatamente
interpretato, palesava la sua pratica con “sostanze” ben più ambite e
pericolose dei metalli nobili. Non ci si deve stupire, allora, se tra i due mali
scegliesse invariabilmente il male minore, il primo.
Tralasciamo
perciò le relazioni tra alchimia e
chimica moderna che, nella misura in cui esistono, sono del tutto marginali e
irrilevanti ai fini della comprensione del complesso sistema rappresentato dal
pensiero alchemico. In questa occasione, perciò,
non si aspirerà in alcun modo a fornire un’immagine organica della
problematica, ma piuttosto a tratteggiarne alcuni aspetti. Per limiti di spazio
e per tendenze personali non si potrà essere né oggettivi né imparziali, ma
piuttosto provocatori, l’intenzione essendo quella di destare interesse su
quello che c’è sull’altra faccia dello specchio e di incrinare
quell’immagine distorta che viene tramandata dalla scienza e dal sistema
educativo tradizionali. I limiti spazio e le specifiche finalità non
consentiranno di sviluppare l’aspetto storico, per il quale si rimanda alle
opere citate in bibliografia.
Quando
si parla di alchimia ci si riferisce normalmente all’alchimia medievale e
rinascimentale (pensiamo al secolo XVI, il secolo magico per eccellenza).
Tuttavia l’alchimia ha origini ben più antiche e geograficamente
differenziate. Pensiamo all’Egitto, all’India (a partire dal VI secolo con
apogeo tra il 700 e il 1300), alla Mesopotamia, alla Grecia, al mondo arabo.
Soffermando
l’attenzione all’area occidentale, si individua in Zosimo di Panopoli
(Tebaide egiziana, tra il III e il IV sec. D.C.) il primo autore storicamente
accertato di testi alchemici, mentre si deve aspettare il 1144 con la traduzione
di Morienus da parte di Roberto di
Ketton (Robertus Castrensis) per fissare il momento in cui la ricerca alchemica
inizia ad uscire da una situazione affatto sommersa costituita dal rapporto tra
maestro e discepolo e dalla trasmissione di formule che attingono direttamente
alla tradizione alchemica greca.
Nei
secoli che seguirono l’alchimia interessò un numero di pensatori e
ricercatori senz’altro insospettato a chi si è formato sulle pagine delle
cosiddette “storie della filosofia”. Tra i tanti si possono ricordare :
Alberto Magno, Tomaso d’Aquino, Ramon Lull, Roger Bacon, Nicola Cusano, Pico
della Mirandola, Marsilio Ficino, Robert Fludd, Isaac Newton.
Interessi
materiali e l’esser divenuta un fenomeno alla moda portarono semplici
divulgatori e volgari approfittatori a definirsi come “alchimisti” e
questa fu probabilmente una delle tante cause del declino e della connotazione
di ridicolo che colpì la ricerca alchemica. Declino ma non sparizione :
allontanati dalle corti nobiliari, non più ricercati da ricchi borghesi in
cerca di brividi, di sensazionalità e di ulteriori ricchezze, i falsi
alchimisti sono spariti mentre i veri Filosofi sono tornati nella solitudine e
nell’oscurità delle loro ricerche. Tra quelli che nel nostro secolo si sono
manifestati, ricordiamo Fulcanelli, Eugène Canseliet (che per taluni, ma
erroneamente, si tratta dello stesso Fulcanelli), Armand Barbault, Frater
Albertus.
Si
è detto che l’alchimia non può essere considerata come una antenata della
chimica moderna, ma questa affermazione può essere smentita dal complesso
corpus alchemico-filosofico di Jabir Ibn Hayyân (IX sec. D.C. ; in
Occidente meglio conosciuto come Geber.
Recenti ricerche attestano che l’alchimista conosciuto in Occidente con il
nome di Geber fosse in realtà un francescano, tal Paolo di Taranto, che operò
verso la fine del XIII sec. e probabilmente fu lettore al monastero francescano
di Assisi). Geber denominò la sua articolata teoria con il nome di Scienza
della Bilancia e cioè con il nome di quello strumento che secoli dopo segnò
la nascita della chimica moderna. E’ indubbio
che Geber fosse in possesso di conoscenze approfondite in tutti i rami del
sapere e, con gli opportuni distinguo, si può accettare la posizione di Paul
Kraus per il quale la teoria jabiriana ha
rappresentato nel medioevo il tentativo più rigoroso di fondare un sistema
quantitativo delle scienze naturali. In virtù del ruolo emblematico
rivestito da Jabir Ibn Hayyân, alcuni trattati alchemici, e uno in particolare,
vennero nei secoli successivi affidati alla storia sotto il suo nome.
Ma
la sistematizzazione delle scienze della natura non è che il primo gradino
verso un sapere di ordine superiore nel quale si integrano tutte le conoscenze
del vero Filosofo e dunque la scienza quantitativa jabiriana si rivela come una
scienza del bilanciamento, dell’armonizzazione degli aspetti qualitativi :
il fine della “scienza della Bilancia” è quello di scoprire in ogni
corpo il rapporto che esiste tra il manifesto e l’occulto... l’essoterico e
l’esoterico [Corbin 1989: 138]. Chi non riesce a pervenire a questa
sintesi è irrimediabilmente escluso dalla vera conoscenza :
Dicimus
igitur, quod, qui non habuerit ingenium naturale, & animam perscrutantem
subtiliter principia naturalia, & naturae fundamenta & artificia, quae
consequi naturam possint in suae actionis proprietatibus, non inveniet huius
scientiae preciosissimae ueram radicem... [Geber 1542]
Non
è un caso che Enrico
Cornelio Agrippa nella sua Filosofia
Occulta avverta che
“...non
vi può essere alcuna opera perfetta di Magia, e neppure di vera Magia, che non
racchiuda tutte e tre queste facoltà
(e cioè la Fisica, la Matematica e la Teologia,
nda)” [Libro I, cap. II]
Si
individua in questo un carattere tipico non solo del pensiero alchemico, ma
anche, in misura forse diversa, di quelli ermetico, gnostico e magico. Gli
adepti di tali vie esoteriche sono infatti tutti accomunati da un’aspirazione
eccezionale che mira a far convergere le vie della conoscenza sensibile e di
quella intellettiva, vale a dire dall’ambizione di pervenire a una visione del
mondo completa,
“unitaria, in cui i ruoli di physica e mystica fossero
parimenti riconosciuti. Se un tale tentativo fosse riuscito, il mondo non
avrebbe dovuto assistere al bizzarro spettacolo di due visioni dl mondo
parallele, di cui l’una non vuole o non può sapere nulla dell’altra. [...]
[Nei tentativi di spiegare la natura] alla fede mancava l’esperienza ;
alla scienza l’anima. La scienza credeva in compenso a un’oggettività
assoluta e trascurò di proposito la difficoltà principale : che vera
portatrice e generatrice del sapere è la “psiche”... Ora, gli gnostici - e
questo è il loro vero segreto - posero la psiche come fonte di conoscenza ;
lo stesso si può dire degli alchimisti.
[Jung 1982: 162-3]
Può
essere sorprendente constatare che un’ambizione analoga era già
presente nel Talmud di Babilonia (Trattato
Pessahim, p. 94b) dove si compara la “saggezza delle Nazioni” (il sapere
essoterico) alla “saggezza d’Israele” e si sostiene, almeno secondo
l’interpretazione del Maharal di Praga, che si ha bisogno della Saggezza delle
Nazioni, essendo questa necessaria per cogliere la realtà del mondo sul quale
deve legiferare la Torah : la Saggezza delle Nazioni costituirebbe una scala
per salire verso la Saggezza della Torah [Netivot
Olam cap. xiv “Sentiero della Torah”]
L’obiettivo
dell’alchimista, o meglio del
vero Filosofo, è quello dipristinare l’armonia tra la materia e
l’intelletto (derivato, quest’ultimo, per dispiegamento non per
frazionamento della sostanza stessa di Dio. Cfr.
Corpus Hermeticum XII, p. 64. Interessanti
a questo proposito sono le connessioni con il pensiero di Sohrawardi ; si
veda in particolare il suo Kitâb Hikmat
al-Ishrâq “Il libro della saggezza orientale”). L’alchimista,
aderendo per questo aspetto alla corrente pessimista del pensiero ermetico, vede
nella materia un fattore negativo, causa di disordine, del nostro agitarci, del
cercare al di fuori di noi quello che in verità è in noi : ...in
homine inveniri potest causa et medicina (Paracelso). D’altronde,
mostrando per questo affinità con la corrente ottimista del pensiero ermetico,
l’alchimista vede nella doppia natura dell’uomo (terrena e divina) un motivo
di superiorità, essendo egli incapace di occuparsi sia delle cose terrestri che
di amare la divinità (cfr. Asclepius).
Singolare, ma non sorprendente, è l’analogia col Corano
(sura VII, 12) dove Dio invita Iblis, l’angelo ribelle, a prostrarsi di fronte
ad Adamo :
Tutto
quello che è contenuto nella “forma divina”, ossia la totalità dei nomi [o
qualità universali, nda], si manifesta nella struttura umana, che si distingue [dalle altre
creature] a motivo dell’integrazione [simbolica]
dell’intera esistenza : da qui l’argomento divino della condanna per
gli angeli... [Muhyi-d-din Ibn ‘Arabi 1987: 20]
Dopo questi cenni di carattere generale ci si può avvicinare un poco al
lavoro dell’alchimista. Prescindendo dagli ingenui e dai ciarlatani, il
panorama della ricerca alchemica è contraddistinto dalla coesistenza, anche a
livello individuale, di due correnti : l’una interessata alla
combinazione di elementi, alla creazione di pigmenti, alla produzione di
sostanze medicinali, l’altra che, ispirandosi alla prima, allegorizzando e
anagogizzando, conduce un discorso speculativo-spirituale (cfr. Festugiere v. I,
p. 218-19]. Ricordiamo però che la prima corrente sarebbe rimasta una semplice
tecnica artigianale se non le fosse stato sotteso il pensiero che caratterizza
la seconda e cioè, in sintesi, unità del
cosmo, indistruttibilità della materia, evoluzione della materia, sua
perfezionabilità.
E’
anche bene ricordare che quello che conta non è la successione storica, né la
veridicità di etimologie o ricostruzioni storiche (alchimia
da chemi “terra nera”, oppure dal
cinese Kim-Iya “succo di pianta (che
produce) oro” da qui all’arabo pre-islamico al-Chemeia
(pronunciato [Kimiya]) e dagli arabi diffuso ad Alessandria d’Egitto dove
sarebbe stato sostituito dalla più trasparente parola greca Khumeia
“arte di preparare lingotti metallici” ; per gli aspetti storici o
pseudo-storici, basterà ricordare Platone che sarebbe stato istruito da
sacerdoti egizi...). L’ordine e le motivazioni che si danno ad argomentazioni
di questo tipo devono essere visti come un velo dipinto che copre la trama delle
verità esoteriche che si vogliono ricordare e tramandare. E’ un ordine che
viene posto per agevolare nel primo stadio del cammino esoterico e come tutti i
veli assolve contemporaneamente a due funzioni. Come per tutti i veli non conta
la forza della luce che viene proiettata, conta in primo luogo l’angolo di
incidenza. Una volta passati ad altri livelli di conoscenza l’ordine dei
fatti, le motivazioni che a questi si danno e le loro argomentazioni si rivelano
dunque per quello che sono, semplici ausili per l’individuazione della Via, la
quale ha invece la semplicità dei senza-nome (Tao
Te Ching XXXII), e cioè
Il
simbolo serve a esprimere un’idea, e va abbandonato quando l’idea è stata
compresa. Le parole servono a spiegare i pensieri, e debbono essere messe e
tacere quando i pensieri sono stati realmente assimilati. [Tao Sheng]
L’alchimista,
seppur remotamente apparentato con i fabbricanti di tinture (di tinture,
si badi bene !), si prende gioco perciò di chi pretende di trasformare il
piombo nell’aurum vulgi, così come
il rosacroce si prenderebbe gioco di chi pensasse che egli va alla ricerca di
una concreta fenice, o il templare di chi vedesse in certe sue azioni disprezzo
per la divinità, o il massone di chi, interpretando alla lettera i suoi
rituali, intraprendesse la costruzione di templi materiali per il bene e il progresso dell’umanità ! E’ per questo
motivo che da sempre l’alchimista pone un’estrema cura nel far comprendere
la differenziazione tra alchimista (o meglio : Filosofo) e soffiatore :
...per
essere l’arte vero magisterio celeste & operatione fisica, cioè naturale,
& la falsa magisterio diabolico, & artificiale con infiniti inganni
& varie mistioni di più corpi in uno composti per mani d’huomini, che il
vero è un sol corpo produtto dalla natura con accompagnare l’attivo al
passivo dall’artista senza farci altra manuale operatione, et mentre la natura
opera, fa tutte le operationi in un sol tempo, che per mani, o artificio manuale
non è possibile. [Quattrami 1587, Intr.]
La
Grande Opera sembra dunque una trasformazione del tutto interna alla materia
prima, la quale non necessita di alcuna particolare combinazione con altri
elementi per giungere a tale risultato :
Est enim Lapis unus, medicina una, in quo magisterium constitit, cui non
addimus rem extraneam aliquam, nec minuimus, nisi quia in preparatione eius
superflua removemus. [Geber 1542: 7]
Abituato
ad associare, anche per responsabilità degli stessi alchimisti, alchimia e
complicazione, artificiosità, difficoltà, parole come quelle di Geber hanno la
capacità di buttare il lettore in uno sconforto ancora più acuto ; né
Geber è l’unico a fare simili affermazioni :
La simplicité est le vray seau de la verité.
[Sendivogius, in conclusione alla prefazione]
Ars nostra est opus mulierum & ludus puerorum.
L’operazione,
dunque, per quanto lunghissima e condotta con la massima moderazione
Recipe aquam superius declaratam cum compositione, & eam pone super
furnelo in cineribus calidis non nimis, quia calor debet esse temperatus ne
materia alteretur nimio calore, superposito Alambico cum clausuris debitis. [Mylius
1618: 7]
deve
essere ispirata dalla massima semplicità, ma il suo risultato, la Pietra
Filosofale, lo si può trovare ovunque, per quanto solo in pochi lo vedano :
I Filosofi dicono che sono gli uccelli e i pesci a fornirci la Pietra, ma
in realtà ogni uomo la possiede, essa si trova ovunque, in voi, in me, in ogni
cosa, nel tempo e nello spazio. Essa si offre in maniera disprezzabile.
[Ripley]
Ed
è proprio il fatto che tanto la materia prima tanto la Pietra siano così
comuni e il fatto che l’Opera sia semplice ciò che più mette in difficoltà
chi si avvicina alla ricerca alchemica. Questo apparente controsenso è una
diretta conseguenza del progressivo impoverimento intellettivo che l’uomo che
si è procurato coltivando e sviluppando solo certe componenti della propria
natura a scapito di altre. Da quando la necessità di sopravvivenza, di
appagamento delle proprie necessità fisiche e intellettuali, di miglioramento
di sé e degli altri nel rispetto di equilibri globali
si è trasformata in desiderio di potenza, in sopraffazione
indiscriminata, in affinamento e specializzazione di quelle sole capacità che
potessero garantire i maggiori risultati nei tempi più brevi e nell’incuria
pressoché totale di conseguenze più generali a breve o lungo termine, da
quanto tutto ciò si è verificato l’uomo ha perso la capacità di percepire
forze, ed equilibri tra queste forze, più “sottili ma non per questo meno
determinanti per la costituzione dei sistemi complessi che articolano la realtà
del nostro (micro)cosmo (i diffusi malesseri psichici da un lato e i sempre più
frequenti allarmi ecologici dall’altro sono due, tra i tanti, significativi
indici del tipo di realtà che ci siamo costruiti).
L’uomo-costruttore-della-realtà si è progressivamente trasformato, per una
sorta di inconscia perversione sadomasochistica, in chi al tempo stesso pone i
semi per la sua disaggregazione e quando cerca di annullare certi effetti
“indesiderati”, avendo perso la consapevolezza e il controllo delle proprie
forze più sottili e dell’armonia del globale, allestisce rimedi che talvolta
sono peggiori del male che si propongono di curare. Ed è proprio da questi suoi
tentativi di porre rimedio che si riceve la conferma che l’uomo è
pervicacemente attaccato a una concezione del sapere come potere indiscriminato :
gli effetti “secondari” negativi vengono analiticamente individuati e
isolati per essere poi eliminati. Nella semplicistica ragioneria sottesa a
questo tipo di ragionamento i guadagni subiscono così un rapido accrescimento.
Abituato a vedere l ‘”altro” (sia esso un uomo, un animale o una
cosa) come esterno da sé, diventato cioè inconsapevole sia del fatto che la
realtà ha la forma che noi le attribuiamo, sia del fatto che noi e “gli
altri” partecipiamo a sistemi di ordine superiore e che quindi il nostro
successo è direttamente proporzionale alla
commensurabilità tra le forme che elaboriamo e l’organizzazione dei sistemi
nei quali viviamo, l’uomo ha tramutato ogni aspetto del suo comportamento in
un gesto finalizzato a piegare quegli aspetti che gli oppongono resistenza. Un
segno di questa situazione lo possiamo individuare nella progressiva incapacità
di vedere e udire e cioè di restare acriticamente e
afinalisticamente aperti a tutte le sensazioni che possono toccare le nostre
capacità conoscitive, a favore di attività controllate e finalizzate come il guardare
e l’ascoltare. L’uomo tende cioè a una situazione estrema in cui sarà
in grado di ascoltare e guardare ma non di udire e vedere.
Nelle
linee più generali, questo è il quadro che caratterizza l’uomo e il mondo
occidentale e sul quale si è ormai conformato praticamente tutto il globo.
Diversa, almeno nei suoi termini ideali, è la filosofia sottesa all’uomo e al
mondo orientali, da sempre attento all’elaborazione di una prospettiva
sintetica che compendi i risultati raggiunti per analisi, alla considerazione
della complementarità delle forze e alla compenetrazione tra “interno” ed
“esterno”. Più in particolare, l’uomo orientale ha sempre saputo che
l’obiettivo supremo (sia esso chiamato Tao, salvezza, redenzione o, con un
termine che preferisco, autopoiesi) può essere raggiunto solo in seguito
a un lavoro su se stessi, concezione, questa, caratteristiche anche del pensiero
alchemico :
Il lapis indica l’uomo interiore, ossia l’Anthropos
Pneumatikos, la natura
abscondita che l’alchimia si sforza di liberare. In tal senso l’Aurora
Consurgens dice ‘factus est homo, qui prius erat mortuus in animam
viventem’. Gli attributi divini del Lapis - incorruptibilis, permanens, divinus, trinus et unus
e così via - sono talmente appariscenti che non si può fare a meno di
intenderlo come il deus absconditus nella materia, vale a dire come il dio del
macrocosmo. [Jung 1988: 112]
Per
avvicinarsi alla comprensione di come l’alchimista sperasse di arrivare al
successo è necessario tenere presente alcuni caratteri della filosofia sottesa
alle sue operazioni. Sarà bene però precisare due punti. Innanzitutto
l’alchimista molto spesso non era del tutto consapevole ella reale portata del
suo lavoro. Le estenuanti operazioni, riflessioni e preghiere che faceva per
giungere alla trasformazione di metalli vili nell’Oro dei Filosofi
sottintendevano un suo inconscio desiderio di riscoprire la propria natura
demiurgica, di riscoprirsi ammantato da quel senso di globalità e di
armonizzazione tra opposti che, come si è appena detto, aveva da lungo tempo
perduto. Nel suo lunghissimo lavoro di perfezionamento dei metalli vili
l’alchimista, se rettamente ispirato, andava incontro a un perfezionamento di
se stesso, finché poteva giungere il momento in cui acquisiva piena
consapevolezza della reale natura della Pietra che per così tanto tempo aveva
cercato di produrre.
In secondo luogo, è bene precisare che i pochi caratteri della filosofia
sottesa all’opus alchemicum che
verranno qui proposti non costituiscono altro che uno schizzo di una delle
possibili vie interpretative tra le tante che percorrono il complesso, e spesso
contraddittorio, cosmo del pensiero alchemico ; né ci si stupisca
dell’apparente molteplicità delle vie perché la Via è qualcosa di assolutamente vago e inafferrabile [Tao Te
Ching XXI]
Tra i caratteri più significativi del pensiero alchemico c’è la
constatazione che gli aspetti della realtà non possono essere né creati né
distrutti ma solo trasformati :
Forma
destructa introducitur alia : quod fieri non potest nisi putrefactione
mediante, & non sine causa Philosophi dicunt , putrefactionem unius esse
generatione alterius. [Magni
Philosophorum 1688: 25]
Ma
in questa opera di trasformazione l’alchimista, pur dovendo imitare la natura
(...io
fui di natura buona simia [l’alchimista Capocchio, ultima bolgia, XXIX
canto dell’Inferno] ;
Les scrutateurs de la Nature doivent estre tels qu’est
la Nature mesme, c’est à dire vrays, simples, patiens, constans & c.
& ce qui est le principal point, pieux, craignans Dieu, & ne nuisant
aucunement à leur prochain... si ce qu’il se proposent est selon la Nature,
s’il est possible & faisable. [Sendivogius 1669:
7])
non
può usare le stesse tecniche :
Nostra igitur intentio non est in
oprincipijs naturam sequi nec in proportione miscibilium elementorum : nec
in modo mixtionis ad invicem ipsorum : neque in aequatione calore
inspissantis, cum omnia sint nobis impossibilia, & penitus ignota.
[Geber 1542: 18]
L’arte
non può imitare la natura nella generatione de principij de’ metalli, cioè
enerare il solfo & il mercurio, nel modo che fa la natura, essendo quelli
dei fumi sottilissimi, li quali la natura vien cocendo, con un calore talmente
temperato, che vi mette 1000 anni a ridurli a perfettione, che ogn’altro caldo
maggiore faria risolvere ogni cosa in fumo. [Quattrami 1587: 87]
pluribus
rebus indigent operantes, quibus natura abundat & in omnibus sequi naturam
non possunt circa creationem lapidis.
[Mylius 1618: 2]
A questo punto c’è da chiedersi su quali presupposti si fondi la
convinzione di procedere a tali trasformazioni.
Alla base di tutto sta un pensiero di tipo animistico tale che non solo
uomini e animali ma anche piante e metalli sarebbero provvisti di
anima. Ciò implica una maturazione di ogni sostanza anima : in
quest’ottica l’oro, per la sua incorruttibilità al tempo e al fuoco ma
anche per i suoi legami simbolici col sole, rappresenterebbe lo stadio di
perfezione verso il quale tutti i metalli tenderebbero.
L’universale condivisione di un’anima non è poi che un aspetto, di
derivazione stoica, dell’unità del cosmo (sintetizzata nella formula en
to
pan “l’Uno è il Tutto”).
Su tale presupposto di unità si radica a sua volta la dottrina della sympatheia,
fondamentale per l’alchimista in quanto prevede che un’azione esercitata su
una parte dell’Unità avrà effetti sul Tutto.
Come è stato fatto opportunamente notare, gli alchimisti hanno accolto
un’altra fondamentale idea del pensiero stoico, quella secondo la quale
la
riproduzione di piante e di animali nelle loro specifiche forme risulta
dall’influenza del pneuma, uno
spirito (concepito in forma materiale) che agisce secondo i dettami della
Ragione Divina, un principio organizzatore inerente ai corpi sotto la forma di logos spermatikos.
Detto altrimenti, sotto la direzione del logos
il pneuma causa lo sviluppo di una
“semenza” latente nello specifico corpo. [Sheppard 1962: 148]
ed
è tale sperma che l’alchimista dovrebbe riuscire a isolare :
[La Nature] ne produit rien sans sperme... Le sperme donc
de chaque chose est meilleur & plus utile à l’artiste que la Nature mesme
[...] Le sperme donc c’est l’elixir ou la quintessence de chaque chose, ou
bien encore la plus parfaite & la plus accomplie decoction & digestion
de chaque chose, ou le baulme de soulphre […]
...la semence ou sperme jetté par le quattre Elements au centre de la
terre, passe par divers lieux, en sorte que chaque chose naist selon la diversité
des lieux. [...] il n’y a qu’une unique semence, tant en Saturne, qu’en
l’or, en l’argent, & au fer : Mais le lieu de leur naissance a esté
cause de leur difference. [Sendivogius 1669:
9-12 e 20]
La Natura non opera allora attraverso una miscelazione diretta dei
quattro Elementi, bensì grazie a una semenza, un Logos, che scendendo nella
materia le dà forma. Chiari, a questo proposito, sono i legami con quella linea
di pensiero che da Platone va al Corpus
Hermeticum.
Da quanto si è detto finora non si riesce a capire però come i quattro
Elementi entrino in gioco. Una volta chiarito questo si renderà manifesto un
altro carattere fondamentale del pensiero alchemico, quello del dualismo :
principia
super quae actionem suam natura fundat, sunt durissimae
compositionis atque fortissimae : & sunt Sulphur & Argentum
vivum... [Geber 1542: 14]
La premièr matière des metaux est double... La première
& la principale est une humidité de l’air mélée avec chaleur... nommée...
Mercure... La seconde est la chaleur de la terre... une chaleur seche qu’ils
appellent soulphre. [Sendivogius 1669: 14]
Diximus autem materiam metallorum esse argentum vivum et
sulphur, quae calore minerali simul decoquuntur, & in mealum perfectum aut
imperfectum vertuntur. Ac revera materia lapidis nihil aliud est quam sulphur
& argentum vivum coctum, postea arte purificatum. Verumtamen non
intelligendum est de argento vivo communi crudo, impuro & imperfecto :
quia illud non potest esse materia lapidis.
[Magni Philosophorum 1688: 46]
In questo dualismo e in questa concezione delle forme della Natura
composte dall’unione di due opposti complementari non si può non sentire,
ancora una volta, una eco del Corpus
Hermeticum :
-
Utriusque sexus ergo deum dicis, o Trismegistus ?
-
Non deum solum, Asclepi, sed omnia animalia et inanimalia, impossibile est enim
aliquid eorum, quae sunt, infecundum est.
[Asclepius <21>]
La concezione dualistica vale, ovviamente, non solo per la materia
formata ma anche per l’anima, abbiamo così un’anima maschile maschile-yang
(ruh in arabo, brahman in sanscrito, spirito
in italiano) e un’anima femminile-yin (nafs
in arabo, atman in sanscrito, anima
in italiano). Presenti
contemporaneamente in ogni forma della Natura, queste due componenti sono però
associate secondo proporzioni diverse. Obiettivo dell’alchimista è quello di
riuscire ad associare in modo bilanciato un forte Spirito con una forte Anima,
esaltando così le proprietà di entrambi e procurandosi quindi un qualcosa che
per la sua preziosità meglio non può essere definito che Oro dei Filosofi, Oro
potabile, Elixir di lunga vita, panacea.
Nei
passi sopra citati si è visto che la materia
metallorum sono il mercurio e
lo zolfo. Detto altrimenti, mercurio e zolfo rappresentano i logoi spermatikoi che unendosi nella materia non formata producono
una particolare forma d’esistenza : mercurio e zolfo sono l’anima e lo
spirito dei metalli. Ma perché proprio zolfo e mercurio ? Il problema è
qui particolarmente complesso, le interpretazioni molteplici e tutte con vaste
zone d’ombra. Tra le tante se ne prenderà in considerazione una tra le meno
diffuse ma nondimeno particolarmente interessante per la sua capacità di
mettere in relazione l’alchimia occidentale con quella orientale.
Secondo tale interpretazione l’esigenza, da cui in seguito si sviluppo
l’alchimia, fu quella di trovare una medicina che migliorasse la qualità
della vita e la prolungasse. A tale esigenza si andò incontro con ricerche
erboristiche che individuarono nel Soma
in India e nel fungo Chih in Cina una
prima soluzione. Col tempo sarebbero poi venuti alla luce due fatti : la
ricerca di una medicina che migliorasse la qualità della vita mutò in una
ricerca di una medicina che garantisse l’immortalità mentre, dall’altro
lato, divenne viva l’esigenza di trovare il modo di prolungare l’effetto del
farmaco o addirittura di garantirne l’efficacia grazie a una singola
assunzione. Nel caso del Soma per
esempio, essendo estratto dalla pianta dell’Efedra si ha un’alta
concentrazione di Spirito e una bassa concentrazione d’Anima in quanto
le
piante sarebbero ricche di Spirito per la loro capacità di crescere
velocemente, ma povere d’Anima in quanto delicate e facilmente distrutte dal
fuoco. [Mahdihassam 1973: 861] ;
il
problema sarebbe dunque quello di aumentare la concentrazione d’Anima,
rendendo così il Soma più solido, più
persistente. La soluzione venne trovata associando l’erba con un elemento
dotato di un’alta concentrazione d’Anima e una bassa concentrazione di
Spirito : un metallo. Sarebbero così nati i composti erbo-metallici che
avrebbero aggirato l’impossibilità di una combinazione chimica tra un’erba
e un metallo grazie a un’operazione che è la vera e propria antenata di ogni
procedura alchemica : il lento riscaldamento (calcinazione) del metallo in
presenza dell’erba. In questo modo i principi più deboli dei due elementi
sarebbero svaniti per primi, lasciando così aperta la possibilità al forte
Spirito (maschile) dell’erba di combinarsi con la forte Anima (femminile) del
metallo. L’Anima fungerebbe da veicolo, mentre lo Spirito, grazie alla sua
proprietà di generarsi progressivamente, renderebbe l’Anima inalterabile :
si produrrebbe un’anima in continua crescita e cioè l’oro (inalterabile)
vivo (proprietà di autogenerarsi). Tracce, ormai ampiamente metaforiche, di
questo passato erbo-metallico, si trovano con facilità nei testi alchemici
medievali e rinascimentali.
In Cina la produzione erboristica si associò a speculazioni, fondate su
equivalenze magico-simboliche, sui metalli e sulle loro proprietà :
Essi
partirono con l’idea arcaica Sangue = anima, per cui Rosso = anima e dal
momento che nulla si avvicina, per la sua colorazione, al sangue meglio del
Cinabro : Cinabro = anima.
[Mahdissham 1973: 861]
Chimicamente il cinabro è solfuro di mercurio e questo costituisce la
giustificazione sperimentale dell’interpretazione dualistica per cui zolfo e
mercurio corrispondono rispettivamente a Spirito e Anima. Di conseguenza, tanto
che si tratti di un composto erbo-metallico (rame calcinato in presenza di
particolari sostanze vegetali) che di un composto metallico (zolfo e mercurio dei
filosofi !), l’obiettivo è sempre quello di formare
un’indissolubile unione tra uno Spirito e un’Anima potenti
e cioè, come si è già detto, di liberare l’anthropos pneumaticos, di vivificare l’uomo morto.
In termini di Elementi semplici, lo Zolfo (Spirito) è caldo, è
composto cioè da fuoco e aria, mentre il Mercurio (Anima) è umido,
vale a dire composto da aria e acqua ; la difficoltà
dell’Opera è dunque quella di unire i due elementi opposti : acqua
e fuoco :
Substantia
prima famosa non potest elici nisi ex duorum praedictorum argentorum vivorum et
Sulphurum substantia, id est ex aqua & igne simul iunctis (quod gravissimum
est) cum sint contraria, tamen possibile est simul iungi & amicari per
artificium nostrum, qua amicitia facta efficitur una Res, a qua extrahitur ipsa
substantia famosa, quae dicitur
spiritus quintae essentiae, ideo aqua & ignis sunt agentia in hac arte,
tempore coniunctionis & amicitiae.
[Mylius 1618: 2]
Tutto quanto è stato finora esposto non fa altro che sfiorare alcuni tra
i molteplici temi che si dovrebbero affrontare per fornire una panoramica
introduttiva alla ricerca alchemica. Innumerevoli sarebbero le tematiche
filosofiche, esoteriche, mistiche, psicanalitiche ancora da presentare, senza
contare poi tutte le problematiche legate direttamente alla scelta delle
sostanze, degli strumenti e dei procedimenti adottai nel corso dell’opus
alchemicum. E, ancora, bisognerebbe descrivere le fasi dell’Opera e la
teoria dei colori a questa connessa, né si dovrebbero dimenticare le
connessioni con le teorie astrologiche e, da qui, a quella linea di pensiero che
risale, attraverso il Corpus Hermeticum, alle tradizioni greca ed egizia.
Tra tutto quello che si è detto è importante sottolineare il carattere
essenziale della ricerca alchemica e cioè la volontà di raggiungere
l’ambizioso tentativo di fondere e armonizzare le due forme opposte e
complementari di conoscenza, la physika
e la mystika. Il declino
dell’alchimia corrisponde, come ci ricorda Jung in conclusione ai suoi Studi sull’alchimia, al prevalere dell’una delle due forme di
conoscenza sull’altra :
L’alchimia
perse la propria sostanza vitale nel momento in cui alcuni alchimisti lasciarono
il laboratorium per l’oratorium,
e alcuni si trasferirono da questo in quello, gli uni per perdersi in un
misticismo sempre più vago, gli altri per scoprire la chimica.
[Jung 1988: 367]
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