Conduciamo tutti una vita impegnata, talvolta pure movimentata. La nostra
vita è sovente rumorosa e spesso, dopo una giornata trascorsa nel caos
frenetico e nel frastuono assordante di rumori provocati dalla stessa attività
umana delle nostre città, si aggiungono delle voci umane talvolta pure
assordanti, che reclamano tutte, a gran voce, il loro diritto all’esistenza;
sono spesso voci dettate da esigenze primordiali, strettamente legate alla loro
natura «umana»: sono esigenze di cibo, di spazio, di comunicazione,
d’affetto, d’amicizia. A questo scenario si aggiungono, in maniera
prepotente e aggressiva, imponenti e pressanti appelli. Sono grida, talvolta
urli laceranti, disseminati disordinatamente nel caotico mondo di messaggi e
delle comunicazioni (telefoni, cellulari, fax, posta elettronica, televisione
ecc.), che reclamano dei bisogni e delle necessità sociali pressanti ed
essenziali. Sono queste delle necessità organizzative che il mondo moderno si
è voluto creare per bisogni sociali, politici, educativi, commerciali,
amministrativi. Sono delle leggi e delle imposizioni con il loro carico di
sanzioni, interpellanze, giustificazioni, incoerenze, ingiustizie: gridi e
appelli laceranti di chi impone ordinanze e decreti e di chi giustifica
applicazioni e interpretazioni discordanti. Culturalmente siamo sempre in
movimento, un movimento frenetico, incessante. Difficilmente si trova un posto
tranquillo dove ci si possa, per un periodo anche breve, distendere in silenzio,
passare il proprio tempo ad estrarre dal profondo della nostra coscienza le
risposte alle domande che ci assillano insistentemente.
Si avverte così impellente il bisogno di rallentare la corsa, di riprendere
il respiro. Ma molto spesso ci lasciamo inghiottire dalle necessità impellenti
e continuiamo a correre, senza sosta, e non troviamo più il modo di fermarci.
Un rimedio esiste: la pratica del silenzio.
L’«essere interiore»
Come provocare la condizione ideale per penetrare nel regno dell’ «essere
interiore»? Ieri ancora, la pratica del silenzio poteva essere semplice.
Bastava seguire un appropriato percorso tradizionale e mantenersi su quella via
(eremitaggio, ordine religioso ecc.). Ma oggi le esigenze del silenzio sono
diventate molto più sottili e raffinate. L’uomo moderno avverte
prepotentemente la necessità di comunicare con l’universo intero; di
incontrarsi e comunicare con i suoi simili e condividere con loro conoscenze e
valori. Incapace di sopportare le divisioni, i confronti e le divergenze,
l’uomo moderno aspira ad una forte unione di consensi che possa conglobare
tante differenze. E non esiste nessun’altra strada percorribile, che possa
riuscire in quest’intento, se non la pratica del silenzio, nella scoperta
costante «dell’essere interiore». Grazie alla pratica del silenzio l’uomo
sarà dunque chiamato a sbarazzarsi dei suoi metalli; le sue false credenze, le
sue superstizioni, la sua arroganza , il suo pseudo-sapere, il suo orgoglio.
Tutto deve essere rivisto, purificato. Scegliere e seguire questa strada
significa soprattutto subirne una fatale attrazione, riuscendo nel contempo a
liberarsi da concetti e nozioni false o distorte, ricevute ed assimilate durante
la nostra adolescenza e giovinezza. Quest’atteggiamento sopraggiunge soltanto
dopo aver raggiunto un ulteriore distacco da tutto ciò che infastidisce e
soffoca la silenziosa ricerca dell’«essere interiore». Le tradizioni e le
religioni saranno gradatamente epurate dai diversi rivestimenti imputabili alla
storia; e diventeranno più intense e vive. Il silenzio crea dunque le
condizioni per iniziare un lungo cammino per penetrare nell’«essere interiore»,
là dove spunta la scintilla divina. Là dove nasce l’uomo nuovo. Misterioso
questo «essere interiore»; esso simboleggia uno stato d’animo piuttosto che
un posto determinato. Il silenzio, processo indispensabile per averne accesso,
inaugura un passaggio dal di fuori al di dentro, dal caos all’ordine, dalla
schiavitù alla libertà. Il silenzio non può essere intrapreso ed attuato che
da coloro che consentono un distacco supremo e totale da se stessi. Solo
l’uomo privo di bagagli che gli infastidiscono le mani, privo di preconcetti e
idee che oscurano la sua ragione, può sperare di raggiungere questo distacco.
La caratteristica fondamentale del silenzio è dunque la sua eccezionalità nel
riuscire ad innescare nell’individuo che lo applica un processo evolutivo di
tale intensità da modificare atteggiamenti e abitudini, ma pure valori e
obiettivi di vita. Basta evocare qualche esempio per comprendere l’importanza
di un tema che ha tanto interessato uomini assetati d’Assoluto di qualsiasi
epoca e delle più diverse civiltà e tradizioni; uomini che hanno riscontrato
tramite il silenzio un’esperienza sconvolgente. Sarà infatti nel silenzio
assoluto del deserto che Mosé poté conversare con Dio e, sempre grazie al
silenzio, vivere l’esperienza interiore di una separazione dal mondo, di un
ritiro dalla società, di una rinuncia alle diverse attività. Diversi
personaggi biblici hanno vissuto profondamente simili momenti di grande
misticismo. Ovunque nella Bibbia il silenzio del deserto risuona! Nella nostra
epoca così disordinata e stressante, ove non è raro essere investiti da idee e
principi contrastanti, ove pure la vita professionale incalza con innovazioni
feroci e incessante richieste di redditività e dove neppure la religione riesce
a erigersi a baluardo di valori e principi sicuri, non è difficile per l’uomo
moderno sentirsi smarrito, confuso. Quando l’individuo é animato da un forte
disordine interiore tutto si trasfigura, vacilla, idee e principi si dissestano
e lasciano la mente disorientata, arida, incapace di gestire ragionevolmente
l’operato dell’uomo. Ciò significa che l’individuo ha perso o allentato
quei rapporti segreti che manteneva stretto con il suo «essere interiore ».
Oggi tuttavia silenzio non significa rompere, né un allontanarsi
definitivamente dal mondo esterno per rifugiarsi,magari anche egoisticamente,
nel nostro mondo interiore. Il silenzio non è fine a se stesso, non vuole
essere uno scopo ultimo; esso deve procurare una libertà più grande per
arrivare a scoprire le essenzialità e le priorità della nostra vita. Il
silenzio infatti modifica l’uomo, lo scolpisce e lo colora, conferendogli il
senso della sua origine.
Il silenzio della meditazione
Non si può dire con certezza cos’è il silenzio. Non è niente di
percettibile. Non agisce nel campo dell’energia, del movimento, ma rappresenta
un non-stato al di là di tutti gli stati. Il silenzio nella meditazione è
comunque la sorgente del movimento e del senza movimento. Essere nel silenzio
meditativo crea una nuova maniera di vivere d’istante in istante; un modo di
vita che non può essere diviso in momenti. Nella diversità della vita di tutti
i giorni, lo sfondo resta sempre lo stesso e tutte le attività sono le
espressioni spontanee di questo sfondo. Si cerca una sicurezza nella ripetizione
e in uno schema di comportamento ormai acquisito. Nel silenzio della meditazione
la vita scorre senza nessun riferimento ad un ego, ad uno sfondo predisposto;
sovente è considerato come un abbandono di ogni attività. Purtroppo noi ci
conosciamo unicamente nell’azione, che nasconde e tende a emarginare la
tranquillità. Il silenzio ci permette talvolta di sottrarci dall’agitazione
confusa dell’azione e ridarci armonia e tranquillità. Un’improvvisa
sensazione di complicità e di totale integrazione può allora apparire: ma sono
attimi fuggenti, sono sensazioni brevissime; è forse questo uno squarcio della
nostra antica felicità? «Ce qu’il importe d’apprendre est d’une autre
manière que par des mots.» Quando nel Nuovo Testamento Gesù tace, comunica
qualcosa di più profondo e con un contenuto più vasto e più pertinente di
quanto possono dire le parole. Rimproverato per essere stato silenzioso davanti
a delle persone che l’hanno voluto provocare, dirà infatti: «Se non è stato
toccato dal mio silenzio, non lo sarebbe stato certamente neanche dalle mie
parole.» Questo silenzio è certamente più orientale che occidentale. Lo si
riscontra pure sovente tra i saggi indiani. In Occidente è difficile
comprendere che il silenzio talvolta è più eloquente delle parole; infatti
quest’ultime possono, se mal interpretate, tradurre malamente o comunque in
maniera imperfetta, la profondità di un pensiero. Si innesca così un altro
linguaggio che presuppone un’attenta e scrupolosa ricerca di segnali e
connotazioni, tali da rendere possibile una lettura interpretativa del silenzio.
Il silenzio ha dunque il merito e il vantaggio di offrire le condizioni
favorevoli ed essenziali alla scoperta dell’essere interiore. Nel silenzio
l’uomo é invitato a riconsiderare la propria memoria e il proprio cuore
ripulendoli da ogni sapere concettuale. Questa purificazione lo condurrà a
poter accettare liberamente una serie di rinunce. Dopo di che potrà
abbandonarsi all’ascolto della parola interiore e scoprire così l’«essere
interiore». L’allontanamento del tumulto esteriore, o meglio detto la non-collaborazione
a questa agitazione collettiva, aiuterà l’uomo a raggiungere la tranquillità
necessaria per assumere il proprio compito. Schiavo delle sue passioni, dei suoi
desideri, l’uomo, grazie al silenzio della meditazione diventerà un uomo
veramente libero.
Il Tempio dell’Amore
Grazie al silenzio della meditazione lentamente l’uomo vecchio che abitava
in noi si trasforma a tappe progressive; ogni tappa è un mattone che vuole
contribuire alla costruzione ideale del Tempio Interiore. Non bisogna tuttavia
lasciarsi prendere né dall’impazienza né dalla precipitazione. Ad ogni
traguardo raggiunto, l’uomo nuovo porterà appresso, scolpito nelle sua
memoria profonda, i contenuti essenziali della sua spiritualità. Il tutto poi
si affina, si ricompone, si amalgama, da diventare un’unica, continua ricerca
armoniosa. Questi stadi, queste tappe, non sono altro che le diverse operazioni
di purificazione che riportano l’uomo al suo primitivo splendore interiore.
Dopo aver superato tutte le tappe richieste, l’uomo nuovo potrà finalmente
raggiungere la scintilla divina che abita in ogni essere umano, avvertita come
presenza misteriosa e nascosta. Questa presenza apparirà inizialmente come
estranea, esteriore alla propria persona; ben presto si rivelerà però come
realtà individuale, il proprio «essere interiore». Lo spirito divino abita
nell’uomo, si stabilisce nell’uomo; l’essenziale è scoprirlo. Questa
scoperta è raggiungibile soltanto con un metodo: l’individuale silenzio della
meditazione. Certamente l’uomo nuovo potrà essere aiutato da Maestri il cui
insegnamento sarà certamente d’ordine universale perché sconfina oltre le
tradizioni e le religioni; è infatti normale che l’uomo nuovo si sviluppi
grazie all’apporto di diverse culture e tradizioni. La pluralità degli
insegnamenti ricevuti non potrà che illuminare maggiormente uno spirito attento
e disponibile. Notiamo che il cristianesimo primitivo, nel silenzio operativo
della meditazione ha saputo approfittare del pensiero giudeo e greco, senza
pertanto dissociarsi dalla sua impronta iniziale. Il silenzio della meditazione
consiste dunque in un inarrestabile esercizio di purificazione che conduce verso
una perpetua interiorizzazione; questa ultima infine porta alla scoperta del
proprio «essere interiore». Più l’uomo riesce a penetrare nel suo «essere
interiore», più grande e autentica diventa la sua disponibilità verso gli
altri; diventa così capace di amare.
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