Goethe, a sedici anni entra
all'università di Lipsia. Una vita studentesca alquanto sconsiderata fa sì che
intorno ai diciannove anni sia colpito da una grave malattia polmonare che lo
costringe ad interrompere gli studi universitari e che gli è curata da un
medico paracelsiano, il misterioso dottor Metz, presentatogli da un’amica
della madre, la von Klettenberg. La frequentazione con tale medico influenzerà
molto la vita futura di Goethe.
Da studente, Goethe, vive con passione la crisi
profonda dell’Illuminismo, partecipando alla travolgente stagione dello Sturm
und Drang[i].
È quello un momento di grave crisi
dell’Europa intellettuale. Le grandi speranze del pensiero illuministico
vengono dissolte da un senso di distacco nei confronti del radicalismo insito
negli stessi principi illuministici; la lotta di classe, della classe borghese e
del popolo, incomincia a esprimersi con virulenza. La dea Ragione è troppo
fredda per chi incomincia a cercare il valore dei sentimenti. Lessing è il
grande illuminista tedesco del ‘700, ma anche l’ultimo illuminista tedesco
massone. Herder, suo amico e corrispondente, si rivolge al senso mistico
dell’Umanità, con Goethe rinnega l’illuminismo e si indirizza al mondo
della Natura[ii]
come espressione altra dell’essere umano. A difendere l’Illuminismo,
surrettiziamente rimane più tardi Fichte.
Insomma, nell’ultimo ventennio del
‘700 l’Illuminismo boccheggia e l’intellighentia tedesca colpisce
duramente l’ormai esausto e decadente pensiero illuminista. Alla Ragione
s’impone la forza impetuosa dei sentimenti e questi sono la porta che apre
all’esplosione degli interessi esoterici. Già questi erano ben presenti in
tutta Europa ma ora sono travolgenti quali fantasmi misteriosi e fascinosi che
cavalcano in giro per l’Europa. Goethe, anche sotto l’influenza del già
citato medico paracelsiano, si converte all’ermetismo alchemico, dando luogo
al suo periodo letterario più fecondo e creativo. Egli crea la figura mitica di
Faust, in cui s’incarna l’inquietudine dell’intellettuale tedesco
dell’epoca e il rifiuto delle tentazioni occultiste che stavano invadendo i
salotti culturali dell’epoca, ben visitati dal famoso Cagliostro.
Ma Goethe non è un fanciullo in
preda alla passione, al contrario egli conserva pur nel turbinio dei sentimenti
la lucidità necessaria per rifiutare l’occultismo. Egli capisce che non è
quella la via che può dare le risposte cercate a tante domande inespresse della
sua gioventù. C’è una via che s’impone come espressione convincente di una
ricerca esoterica che non sconfini con l’assurdità dell’occultismo e della
magia; questa via è la Massoneria.
Goethe vi aderisce con entusiasmo e
viene iniziato nella loggia “Anna Amalia alle tre rose”, nella notte di S.
Giovanni del 1780. Gotthold Deile nel suo saggio “Goethe e la Massoneria”
rileva che il poeta ha inizialmente qualche titubanza. Però si decide e scrive
al Gran Maestro Jakob Friedrich von Fritsch: "Gia' da tempo ci sono
state situazioni che mi avevano fatto desiderare di appartenere alla società
dei massoni... mancava soltanto questo titolo per poter meglio avvicinare
persone che ho imparato ad apprezzare". Diventa Apprendista. È il 23
giugno 1780 e Goethe inizia il suo percorso massonico.
Quella occasione la ritroviamo nel
suo Diario, dove appare un “rettangolo” simbolo della sua loggia e la data
dell’iniziazione. A questo riferimento si accompagnano due lettere inviate
all’amata Charlotte von Stein. Il 24 giugno scrive “"Un piccolo
regalo La attende... La cosa più sorprendente è che lo posso fare ad una sola
donna, una sola volta nella mia vita". Sono i guanti bianchi che
secondo antica tradizione ogni massone regala alla sua amata, simboleggiando la
stima massonica per il sesso femminile. In seguito, il 23 giugno (stessa data
dell’iniziazione!) 1781 passa al grado di Compagno di Mestiere e il 2 marzo
1783 è elevato al sublime grado di Maestro Muratore. Le sue insistenze, già
nel 1781 al Gran Maestro per accedere ai gradi superiori e che vengono ignorate
deliberando il passaggio al “semplice” grado di Compagno, finalmente trovano
risposta nello stesso 1783. Però è un effimero successo, infatti il 24 giugno
la loggia Amalia cessa l’attività.
Questo rimanere senza polo di riferimento probabilmente lo conduce assieme
all'amico Johann Goffried Herder, che prese lo pseudonimo di Damasus Pontifex),
ad affiliarsi, con lo pseudonimo di Albaris, all’ “Ordine degli
Illuminati”. Questo era un’istituzione creata nel 1776 da Adam Weishaupt, ex
massone, con l’intento di combattere il dispotismo e la superstizione. Una
vera e propria società segreta con intenti eversivi nei confronti del potere
politico, derivante dalla Massoneria senza esserne collegata direttamente.
Lo Sturm und Drang ed ancor più
la corrente di pensiero Humanitat rivendicano la creazione della “nazione”
tedesca, rappresentata dall’unità della lingua. Shiller negli anni tra la
fine del ‘700 ed i primi dell’ ‘800 scrive la poesia “La grandezza
tedesca”, che implica la rivendicazione della Germania come “nazione
culturale”, rappresentata nei valori del Bildung e dell’Humanitat. C. M.
Wieland, altro esponente dell’Humanitat propugna la sostanza morale dei
politici ed Herder, per suo conto, concepisce qualcosa di simile coniando il
termine “arisodemokrati”, persone elette e sostenute popolarmente ma
anche “aristoi”, i migliori in senso morale. Sono questi che devono
governare perché possiedono un livello di umanità profondo, appunto
l’Humanitat, e così potranno sviluppare nel popolo una vita politica armonica
e fondata su principi morali concreti, non astratti. A questi si unisce
Humboldt, il cui pensiero radicale, ma sulle radici del Bildung e della
Humanitat progetta una riforma universitaria che poi si estenderà a tutta
l’Europa[iii].
Tutti questi pensieri fortemente innovativi, anche in senso politico, trovano
nell’Ordine degli Illuminati la loro espressione più radicale, quasi
rivoluzionaria. Tale Ordine non è un partito politico ma ne prefigura gli
aspetti più virulenti. Dell’affiliazione da parte di Goethe rimane un
documento autografo che da poco la rivista russa "Soverscenno Secretno"
ha recuperato dagli archivi della ex Unione Sovietica e che faceva parte di
quelle carte che gli occupanti rastrellarono nella Germania sconfitta, e che
misero nei loro magazzini. La rivista russa, impropriamente, cita la lettera
come prova dell’affiliazione di Goethe alla Massoneria. In realtà essa era già
stata pubblicata dal professor Gotthold Deile nel suo saggio “Goethe e la
Massoneria”, gia citato, e correttamente interpretata come prova
dell’affiliazione goethiana all’Ordine degli Illuminati. L’esperienza per
Goethe dura poco, neppure un anno[iv].
Tuttavia l’esperienza vissuta nella loggia “Amalia” diede a Goethe la
convinzione della funzione pedagogico sociale della Massoneria, anche,
sicuramente, sotto l’influsso dei ben più moderati Dialoghi massonici
lessinghiani. Sembra a Goethe di trovare in loggia finalmente quel ambiente di
ricerca spirituale ed esoterica, purificata dalla religiosità chiesastica, al
quale egli anela.Questa visione si approfondisce negli anni successivi in una
proiezione sempre più idealizzata e che trova una importante espressione
nell’opera “Wilhelm Meister, gli anni dell’apprendistato”
(1795-1796), ove si affronta la tematica dei "misteri esoterici
superiori". Attorno ala “Società dalla Torre” si sviluppano le
vicende di Wilhelm Meister[v],
è la società segreta di evidente ispirazione massonica il cui scopo è
l’elevazione spirituale dei suoi membri, infatti, Jarno uno dei protagonisti
principali considera l’occultismo ed i misteri massonici come antidoti alle
sciocchezze e frivolezze dello spirito dell’epoca.
Goethe nel 1788 parte per l’Italia, fuggendo da una situazione moralmente e
psicologicamente insostenibile[vi].Era
entrato in politica e questa si scontrava con la realtà eversiva e confusa
della Massoneria. Tutti conosciamo i suoi scritti del viaggio italiano che
rasentano il sublime intellettuale e culturale dell’epoca, pochi sanno invece
che Goethe è impressionato dall’Italia come paese infestato da società
segrete.
Ritornando dall’Italia Goethe, che
credeva di potersi riprendere dalla prostrazione morale viaggiando nella culla
della classicismo, ritrova lo stesso angusto e soffocante ambiente, lo stesso
marasma di dispute tra Gran Logge massoniche. La Massoneria tedesca alla fine
del ‘700 è un arcipelago di Ordini ed Obbedienze tutte in disputa tra loro,
è un’arena insanguinata delle dispute di ogni genere, da quella religiosa tra
cattolici presenti in loggia contro i laici a quella tra scientisti ed
occultisti, tra tradizionalisti e modernisti e così via.
Goethe non sa darsi ragione di queste
dispute, infatti, la sua è una visione mistica e spiritualistica della
Massoneria che opera sui binari della ragione. Nella Massoneria Goethe ricerca
il senso del mistero, l’iniziazione come cooptazione in un ordine elitario di
menti superiori, lo sviluppo spirituale dei misteri esoterici superiori che
abbiamo appena citato nell’opera Wilhelm Meister.
Il Massone Poeta interpreta la
situazione come politicamente pericolosa, infatti egli era uno dei più fidati
consiglieri e ministro di importanti dicasteri sotto Carl August, duca di
Sassonia-Weimar-Eisenach[vii].
Decide un’azione drastica. Il 6
aprile 1789 scrive a Carl August “Come lei sapeva, Jena era minacciata da
una loggia... ho fatto una proposta... grazie alla quale viene dato un duro
colpo a tutte le organizzazioni segrete... e' bene aprire le ostilità con
buffoni e birbanti”, durissimo giudizio su una Massoneria impregnata di
velleità sovversive e che aveva perso ogni valenza ideale. Rincara la dose nel
31 dicembre 1807 scrivendo riguardo a Jena “"La massoneria diventa uno
Stato nello Stato... introdurla dove non c' era non e' mai consigliabile"[viii].
Chi volesse scorgere in questa
documentazione una rottura da parte di Goethe con la Massoneria sbaglierebbe.
Egli attacca quella che un Lessing avrebbe definito come “Massoneria di
forma” in opposizione alla “Massoneria d’essenza”. Un duro colpo alla
credibilità della Massoneria era appena stato dato dal cosiddetto conte di
Cagliostro e dallo scandalo parigino. Goethe esplode con la sua provocatoria e
accusatoria opera Il Gran Cofto, scritta tra il 1789 e il 1791;
ovviamente la figura dominante è ispirata a Cagliostro, riproposto col nome di
Conte di Rostro e raffigurato come l’impostore per eccellenza, colui che
approfitta delle forme della Massoneria per usi illeciti. Nello stesso tempo
l’opera appare come espressione della mente politica di Goethe che denuncia la
ciarlataneria di certa Massoneria. Goethe anche dopo il suo riavvicinamento alla
Massoneria, dopo il 1808, manderà il suo messaggio politico con l’opera Kunst
und Altertum, Arte e antichità, (1814-1815) a seguito degli avvenimenti
della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche[ix].
La grande delusione dei più eminenti
esponenti della cultura tedesca per la fine dell’Illuminismo viene ricondotta
da Goethe all’interno dell’idealità massonica, unica soluzione per il
futuro dell’Europa e messa in opera in una società universale regolata da
gerarchie e statuti rigorosi.
Ciò che scandalizza Goethe è il travisamento degli ideali massonici e l’uso
eversivo della segretezza massonica. La matrice ideale goethiana fondata
sull’esoterismo si ribella alla politicizzazione della Massoneria. La
decisione politica di chiudere le logge si impose per la veemenza delle dispute
massoniche che stavano mettendo in crisi la stessa stabilità politica del
Ducato. Essa riflette, in ultima analisi, la concezione goethiana di un
esoterismo puro, opposto al misticismo cristianizzante ed intollerante che già
aveva inquinato i rapporti con gli antichi amici d’università Herder e
Lavater.
Nello stesso tempo esprime la grande questione spinoziana e leibniziana della
conciliazione tra libertà e necessità[x].
Egli si chiude in se stesso, coltiva
gli ideali massonici ed esoterici astraendosi da ogni loro aspetto formale.
Questo interiorizzarsi lo porta a scavare nel suo intimo relazionandolo ad un
esoterismo in chiave mistica. Tuttavia l’esoterismo in Goethe non si fa
espressione spiritualistica fine a se stessa, anzi egli lo riporta nell’alveo
del pensiero massonico e delle sue idealità.
Rispetto ai giovanili entusiasmi per l’ermetismo alchemico, che sente come
puro inno spiritualistico il Goethe più maturo purifica e sublima tale
esoterismo proiettandosi a scavalcare l’orrore dell’arcano post-mortem. Il
Faust del 1808[xi]
rappresenta in maniera emblematica questo passaggio; con questa figura tragica
Goethe riconduce l’esoterismo dentro la via massonica rivendicando il percorso
massonico alla verità e al senso della morte come irraggiungibile con le sole
armi della ragione umana. Incidentalmente si può osservare lo sprezzo per
l’Illuminismo in quest’opera evidente.
Goethe è corroso dal bisogno di conoscere gli intimi ripostigli
dell’esoterismo e vede gli Alti Gradimassonici come un Ordine interno alla
stessa Obbedienza, ove i misteri massonici sono velati di esoterismo cabalistico,
di teurgia ebraica, di fratellanza rosacrociana. La segretezza degli Alti Gradi
vorrebbe celare e svelare assieme, la via ai remoti orizzonti mistici e
spirituali, esattamente ciò che Goethe cerca appassionatamente[xii].
Alla realtà massonica, confusa e
belligerante, si oppongono le visioni armoniose e mitiche di un Lessing o la
luminosità Humanitat omnicomprensiva di un Herder ed anche la visione
sentimental-razionale del Goethe. Non è casuale che Goethe militasse
nell’ordine di Stretta Osservanza dove si dà una visione ermetica del segreto
massonico[xiii].
La massima espressione della
concezione goethiana dell’esoterismo è proprio la composizione dei Geheimnisse,
i Segreti. Lo spirito rosacrociano è di tutta evidenza in questi versi di
profondo anelito religioso, di senso cosmopolita e di una pura Massoneria
impostata sul senso lessinghiano di tolleranza. Ciò che Goethe rifugge nella
concezione cristiana della religiosità è l’aspetto pietistico e
confessionale: “Giacché io non sono né un anticristiano, né un non-cristiano,
bensì un deciso acristiano, sono stato assai negativamente impressionato da tuo
Pilatus e altre tue cose, perché tu mi assumi una posizione eccessivamente
critica contro l’antico dio e i suoi figli?”, aveva scritto a Lavater
nel 1782. Come già accennato, il superamento di un giovanile pietismo
rosacruciano e le letture spinoziane dell’ 1784 e 85 creano la frattura ed il
passaggio ad una visione più distaccata, più razionalista della scienza
mistica della Natura.
Non si creda che una concezione più
razionaleggiante potesse ricondurre Goethe nelle braccia fredde e scarne
dell’Illuminismo; tutt’altro, la sua è una visione razionalistica complessa
e sofisticata e si fonda sullo studio della Natura per ricercarne un modello
interpretativo fuori dagli schemi materialistici ed illuministici, come abbiamo
visto, di un Newton; il modello goethiano è fuori dalle logiche della
quantificabilità e misurabilità di una Natura devitalizzata ed amorfa.
L’interruzione nel 1785 del poemetto Segreti, nel quale aveva
evidentemente riposto grandi aspettative e speranze[xiv],
è dovuta a motivi di difficile interpretazione e forse bisogna prendere per
sincera la sua affermazione che l’impresa era eccessiva per lui. In effetti,
la definizione degli arcani segreti della Natura e del pensiero massonico
rimangono il compito che egli perseguirà per tutta la vita, al punto che un
anno prima di morire scrive a Boissereé (1831): “Nessun uomo si può
sottrarre al sentimento religioso, però gli è impossibile elaborarlo da solo
sicché o cerca o diventa un proselito. Quest’ultima modalità non è la mia,
la prima l’ho portata avanti coerentemente e non ho trovato alcuna religione
dall’inizio del mondo in cui mi potessi riconoscere completamente. Ma ora nei
miei tardi giorni, apprendo della setta degli ipsistari, che stretti tra pagani,
ebrei e cristiani, si dichiarano prontia stimare, ammirare, venerare il meglio
ed il più perfetto di ciò che potessero conoscere e di adorarlo nella misura
in cui ciò fosse in relazione prossima con la realtà. Cos’ da un’epoca
oscura mi viene una luce lieta poiché sento che per tutta la vita ho anelato a
qualificarmi come ipsistario. Ma questa non è una fatica piccola giacché come
si riesce nella limitatezza della propria individualità a percepire la
perfezione.”
Queste sublimi parole evocano il
pensiero di un Lessing che ricercava la Verità malgrado tutto, pur sapendo che
essa è solo nel pensiero divino. La stessa concezione lessinghiana della
tolleranza è qui illuminata da ulteriori e profondi sensi, sempre col
sentimento dell’inadeguatezza dell’uomo, che pur consapevole della propria
limitatezza osa aspirare alla perfezione o almeno a postularla. Se Lessing
sottomette tale concepibilità alla divinità, Goethe invece la riconduce nelle
mani dell’uomo, decretando così il vero ed invalicabile limen che
separa Natura e Uomo dalla Divinità, intesa come cosa inconcepibile, dunque
arcana. In altri termini, sembra che il vero misterioso segreto sia il concetto
steso di Divinità. Di conseguenza il viaggio mistico alla scoperta della morte
è il viaggio di perfezionamento, secondo la più sincera tradizione massonica,
che si esaurisce in sé, ovvero che è viaggio senza meta perché la vera meta
è il viaggiare stesso; è la ricerca del perfezionamento, rinunciando o
riconoscendo l’inconcepibilità del considerare la morte come esistenza
alternativa alla morte.
È la morte il grande arcano nel
pensiero goethiano, dunque è essa l’oggetto di un’indagine che non può
seguire gli schemi della religione chiesastica; infatti, questa non indaga sulla
morte, né la spiega, ma offre un supporto alla sua accettazione stravolgendone
il suo senso intimo, il nulla dell’esistere.
Goethe va ricercando altre vie, l’esoterismo ermetico, il rosacrocianesimo e
la ragione sensibile. Quest’ultima è mirabilmente rappresentata nelle tredici
figure dei cavalieri nell’eremo, tutti cavalieri esperti della vita ”delle
ambasce patite, delle perdite e del premio” ed anche, con intima fusione,
di profonda umiltà al punto di destinare come capo della comunità il pio ed
umile Fratel Marco. Dunque la ragione di Goethe è legata al senso di realtà,
è la pietas dello sprovveduto ma mistico Fratel Marco.
È forse quest’accolita di eletti
cavalieri il richiamo di quella elite di dotti che per Herder dovrebbe vigilare
sull’operato dei governati? O forse è la stessa Massoneria, che secondo
Lessing avrebbe dovuto raccogliere in sé i misteriosi valori universali che
sono a fondamento dello stesso sussistere dell’umanità? Difficile dirlo, le
idee di Lessing e di Herder avevano profondamente influenzato la cultura tedesca
della seconda metà del ‘700e più che mai lo stesso pensiero massonico
settecentesco ed ottocentesco.
Goethe con la sua personalità
complessa ed attenta alle pur minime suggestioni culturali ed intellettuali
della sua epoca, non poteva non esserne influenzato e seguirli nella passione
per i molti campi del sapere[xv].
Goethe tiene le distanze dal classicismo ma a ben vedere, specialmente nel suo
“Le affinità elettive”, egli è un classicista nel senso più fine
del termine; anche se manca dell’interpretazione “serenamente olimpica”
del classicismo, il poeta accoglie le facies opposte del vissuto umano in
relazione alla Natura in un’unità di drammaticità e problematicità.
Affrontando le Affinità elettive la domanda sorge spontanea: i
personaggi sono davvero liberi? Che cosa essi ci svelano del rapporto fra natura
e cultura, fra mito e storia?
Tanto in Werther che in Affinità
elettive i personaggi sembra che agiscano sotto il dominio della necessità,
operanti nel mitico. C’è in questi romanzi un senso d’ineluttabilità, per
cui l’azione non corrisponde necessariamente alla decisione, per il muto
richiamo della morte[xvi].
La morte assurge a valenza mitica, decretando la propria immanente irriducibilità
e, paradossalmente, la propria esistenziale esemplarità del più terso
contrasto tra natura e cultura. Se la cultura è necessariamente e
indissolubilmente legata all’uomo, dall’atto umano del sacrificio la natura
si esprime come estremo simbolo della morte senza la quale non ci sarebbe vita[xvii].
Ma questa forma quasi umanamente
archetipica della morte lo vediamo meglio nel confronto tra Goethe e un altro
grande del pessimismo esistenziale, il Foscolo.
Foscolo è indubbiamente debitore di
Goethe. La comparazione tra "I dolori del giovane Werther" e
"Le ultime lettere di Jacopo Ortis" seguono lo stesso percorso
dello scontro tra amore e morte. La critica sociale esplode in ambedue anche se
confluisce in diversi alvei.
Werther e Ortis sono accomunati dalla
visione pessimistica della vita, distrutta nelle sue ambizioni dalla società
borghese. Il senso della Natura è in Goethe carico di spaventato sconcerto ed
in Foscolo di netta disperazione.
Dice Goethe: “quel sentimento
della viva natura (…)mi si è mutato in carnefice intollerabile, in spirito
tormentatore che mi insegue per ogni dove; (...) non vedo altro che un mostro il
quale eternamente divora, eternamente rumina". Risponde Foscolo come in
una eco: “la natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo
suo regno tutti i viventi;(...) la terra è una foresta di belve”.
Ambedue i protagonisti sono travolti
dal senso meccanicistico e materialistico di una nuova visione della Natura che
si va generalizzando in Europa. La Natura suscita insieme senso del sublime e
senso dell'orrore. All'inizio per Werther la Natura gli fa dire: "come
il mio caldo cuore abbracciava ogni cosa, mi sentivo come inviato in quella
dilagante pienezza, e le splendide figure dell’infinito universo si muovevano
vivificanti nell’anima mia"., ma poi per lui e per Ortis la Natura
diventa desolazione ed orrore. Finisce il dialogo dolore-piacere,
sconforto-ebbrezza e la Natura svela all'uomo il suo aspetto catastrofico:
"ciò che mi stringe il cuore è la forza distruttrice riposta
nell’essenza stessa della natura; la quale non ha mai creato cosa alcuna che
non sia destinata a distruggere il prossimo, a distruggere se stessa",
dice Werther.
Goethe, come Foscolo, vorrebbe
comprendere i misteri della Natura, ma non ci riesce e la ragione si dimostra
capace solo di evidenziare il dolore dell'esistenza, senza poter svelare i
processi naturali, interpretandoli come mera insensatezza: "noi
tocchiamo con mano tutte le nostre calamità ignorandone sempre il modo di
ristorarle" dice Foscolo.
Appare lo spettro della morte e
Goethe lamenta "scena della vita sterminata ecco mi si muta
nell’abisso della tomba eternamente spalancata" a cui Foscolo
risponde: "che pace? Stanchezza, sapore di sepoltura".
Se in Goethe la visione drammatica e
materialistica della Natura è ribellione a tale stessa concezione, in Foscolo
è incapacità persino di ribellione.
Molto diversa per i due è la visione politica. Goethe si ribella ai pregiudizi di una società aristocratico-feudale, mentre Foscolo è travolto dalla tragedia italiana del tradimento di Napoleone e delle illusioni riposte nell'azione liberatrice dall'oppressione. Foscolo si avvia sulla strada del nazionalismo mentre Goethe stranamente si ferma prima. I due sono distanti per un fatto importante: Goethe è Massone mistico e Foscolo è un Massone liberale che, iniziato alla Massoneria, frequentò molte logge ove era dominante la filosofia degli Idéologues francesi, fattore d'importante formazione per il Foscolo stesso e la Massoneria ottocentesca, al contrario di Goethe di formazione massonica ermetico-esoterica.
Chi interpretasse la concezione della
Natura di Goethe come visione organicista e vitalista, non comprenderebbe che la
Natura è da lui concepita in maniera precipuamente esoterica, che il Poeta la
scopre come il grande rituale metafisico del Cosmo, infatti, nel rituale della
sua sussistenza la Natura sacrifica se stessa, o meglio i suoi componenti, per
la sua stessa rinascita e questo rituale, nel quale la morte è la via mistica
alla vita, viene ripetuto da sempre e per sempre.
Questa è la metamorfosi vita-morte-vita che Goethe descrive nella sua ciclicità
cosmogonica: “Essa è simile alla forza centrifuga, e si perderebbe
nell'infinito se non le fosse assegnato un contrappeso: intendo dire l'istinto
di specificazione, la pertinace capacità di persistere di ciò che è venuto
una volta alla realtà. Una forza centripeta cui nessun elemento esterno può
nuocere nel suo fondo più nascosto".
Alla pari di un Lessing e di un Herder, Goethe affronta anche il tema della
linguistica. Per lui la partita con la scienza si gioca sul tavolo delle parole.
Non ignora che uno strumento concettuale determinato dà anticipatamente la
risposta. Goethe critica Newton senza aver conosciuto gli scritti alchemici
perché altrimenti la sua polemica forse sarebbe meno decisa. Lo critica per
l’uso meccanicista dello studio della Natura, che limiterebbe l’espressività
scientifica, dando della Natura e dei suoi accadimenti un’accezione meno
semplicistica, osservando: “La nazione, avendo adottato la filosofia
sensista, si era abituata a servirsi di espressioni materialiste, meccaniciste,
atomiste; e poiché l'uso linguistico si eredita, imponendosi perfino nella
conversazione comune, appena quest'ultima si eleva all'ambito spirituale, il
linguaggio resiste agli uomini eminenti che cercano di esprimere le loro
opinioni".
La visione globale della Natura, che
viene dalle concezioni ermetiche apprese da giovane, porta Goethe a criticare la
teoria della luce elaborata da Newton e a proporne una ben diversa, intesa come
teoria oggettiva dell’esperienza visiva[xviii].
C’è nella concezione goethiana della Natura e delle scienze che la studiano
un’immagine di forze in lotta, egli cerca di scoprire le forze e le forme
della natura fuori dalle ristrette analisi delle componenti o dei parametri.
L’approccio alla Natura deve essere graduale, per contiguità analogica. Nel
saggio sull’esperimento come mediatore tra oggetto e soggetto Goethe enuncia:
“Poiché in natura tutte le cose, ma specialmente le forze e gli elementi
più generali, sono in uno stato di perenne azione e reazione , di ogni fenomeno
si può dire che stia in rapporto con innumerevoli altri, come di un punto
luminoso libero nello spazio diciamo che invia i suoi raggi in tutti i sensi. Se
dunque abbiamo compiuto un esperimento o un'esperienza, non studieremo mai
abbastanza ciò che gli sta immediatamente vicino e ciò che immediatamente lo
segue . È a questo che dobbiamo guardare, più che a ciò che gli si riferisce.
La diversificazione e moltiplicazione dell'esperimento è dunque il primo dovere
di un naturalista".
Goethe nella sua smania di sapere
studia la scienza e fa esperimenti. La Natura per lui è un campo di azioni e
reazioni, dando a questi termini l’accezione della fisica qualitativa dei
peripatetici medioevali o dei neostoici rinascimentali. La Natura, nel senso di
universo o creato, è un animans, un grande essere animato. Per Goethe la
geometria della Natura è preceduta dalle intuizioni vitaliste, egli vede la
Natura come la grande Tessitrice ed i rapporti concreti in essa presenti come
atti irriducibili, non traducibili in formule matematiche. Solo l’occhio della
mente dà senso alla Natura, occhio passionale e carnale.
In una lettera del 1770 egli confessa
di avere un’amante segreta dal nome «Chymie», nel tedesco dell’epoca la
chimica, scienza che plasmò il suo intelletto molto più di quanto si sappia.
Questo interesse alchemico che lo pervade per tutta la vita ed il simbolismo
connesso alla chimica lo esprime con sottile sapienza alchemica nella Fiaba, del
1795 ove utilizza proprio il linguaggio simbolico dell’alchimia. Goethe
suscita un vespaio di interpretazioni che osserva con ironia, senza mai svelare
i reconditi significati delle sue parole, delle allegorie dei re d'oro,
d'argento e di bronzo e di molti altri misteriosi personaggi. In seguito con il
romanzo “Le affinità elettive” egli richiamandosi proprio
all’alchimia, mette in parallelo gli esseri umani e il concetto chimico
d'affinità. Edoardo, personaggio del romanzo, è studioso della chimica, mentre
un altro personaggio, il capitano, parla della reazione fra acido solforico
diluito e calcare: “Si ha dunque una separazione e’una nuova composizione,
il che giustifica l'uso dell'espressione ‘affinità elettiva’, perché s'ha
l'impressione che un rapporto venga preferito all'altro, venga eletto in luogo
dell'altro”.
Per Goethe fu chiara l’idea che
nello studio della Natura l’osservatore e la cosa osservata sono inscindibili;
non si può misurare, quantificare, ridurre a forme i numeri ed i numeri a forme,
in definitiva è impossibile conoscere con il solo strumento della ragione,
perché la conoscenza non può essere disgiunta dalla saggezza[xix].
L’esoterismo, l’ermetismo e
l’alchimia di Goethe sono sempre dentro i confini della ragione sensibile;
egli rifugge dalla dilagante moda settecentesca della magia, principalmente
espressi da Umberto Balsamo, conosciuto come Cagliostro, e considera
l’occultismo e la magia come segnali "dell'irruzione delle forze
oscure dell'anarchia e del caos". Questi segnali preannunciano la
perduta armonia con la furia popolare e gli intrighi di corte.
Goethe, con la sua concezione delle
forme simboliche similmente a Kant, non contrappone l’idea all’esperienza,
gli nega un valore ontologico, anzi la considera regolativa, come principio e
forma assieme. Tale forma, divenuta simbolo, si fa riflessione del vero, diventa
strumento conoscitivo della realtà.
Questo sincretismo tra ermetismo e
scienza Goethe lo trova compiutamente dentro la Massoneria. Questa, opponendosi
alle guerre di religione del XVI e XVII secolo, volle dare fondamento al legame
sociale, dopo la crisi succeduta a quelle guerre. Se la Massoneria per i più è
“società segreta”, per altri, più “illuminati”, essa è società che
“tratta i segreti”. È il luogo dell’esperimento sociale della convivenza
infraumana, si pone come protagonista spirituale della realtà europea,
distinguendo tra religione naturale e religione positiva. Nella Massoneria si
esprime il principio della cittadinanza[xx].
Nella Massoneria e nel suo caratterizzarsi come “laboratorio” di nuove forme
di vita associata si va prefigurando la forma politica che poi saranno i partiti
di massa, lo “Stato-nazione”.
Goethe conia la parola “tedesco”,
intendendo la letteratura come mondiale, distinguendosi nettamente dalle
posizioni di Herder che intanto va elaborando la cultura popolare come
espressione della nascita di una nazione. Letteratura mondiale e cultura
dell’umanità sono i movimenti che si esprimono in pluralità convergenti di
una letteratura senza frontiere. Il Faust si pone come figura emblematica di
quel percorso che fa dirottare Goethe da quella via che portava alla prospettiva
magica verso l’altra via dell’ideale dell’Humanitat, ultima frontiera
della cultura umanistica nata in Italia. Per il Goethe massone l’iniziazione
si prefigura come rito esoterico della rinascita in opposizione all’ideale
illuministico di una “educazione del genere umano”, proposto da Lessing con
un’opera proprio con quel titolo. Goethe è convinto che l’aspirazione
massonica all’elevazione spirituale corrisponda all’evoluzione culturale e
sociale che pervade gli intellettuali del suo tempo. Questa convinzione la
conserva fino alla fine, la sua fine “profana” nel 1832, mantenendo fino ad
oggi la continuità d’un pensiero massonico che non ha storia e quindi non ha
conclusione.
_______________________
Di
seguito il testo di adesione di Goethe all’Ordine degli Illuminati ritrovato
negli archi sovietici:
“Io, sottoscritto, m' impegno
con il mio onore e buono nome, rifiutando ogni clausola segreta, a non svelare a
nessuno, persino agli amici più intimi... in nessun modo... indipendentemente
se sia assunto o no, i quesiti che riguardano la mia affiliazione alla società
segreta, affidati a me dal Signor Bode, consigliere di legazione. Tanto più che
sono stato assicurato che detta società non intraprende niente contro lo stato,
la chiesa ed i buoni costumi. M' impegno inoltre a restituire immediatamente
tutti i documenti e le lettere, ricevuti a tale proposito, dopo aver preso le
note, da me solo concepibili. Se, eventualmente, io ricevo per custodia qualche
documento ufficiale dell'ordine, debbo serrarlo in modo estremamente minuzioso,
allegando l' indirizzo del versato e probo membro dell' ordine, affinché , in
caso della mia morte subitanea, quel documento non capiti assolutamente tra le
mani di nessuno. Tutto ciò prometto senza alcuna clausola segreta e dichiaro,
da uomo onesto che desidera rimanere tale, io non abbia degli impegni con delle
altre società e non divulghi a nessuno i segreti, affidati a me in modo
riservato” . Goethe
NOTE
[i]
Letteralmente "Tempesta e Impeto", movimento culturale creato da
Goethe insieme a Herder tra il 1770 ed 1785 e che raccolse a Strasburgo un
gruppo di intellettualiGeneralmente è definito come movimento pre-romantico.
[ii]
Illuminanti sono le parole di Goethe riguardo alla Natura, parole che
illustrano compiutamente la sua visione ermetica del rapporto tra Uomo e
Natura.
[iii]
Egli ha una concezione dell’università come luogo di formazione dell’Uomo
a tutto tendo, come istituzione afunzionale, non specialistica. Questa
concezione liberale, intesa come educazione liberatrice, capace di far
dispiegare all’Uomo le sue capacità e disposizioni.
[iv]
Dell’interno di questa esperienza non ci sono informazioni, ma è certo che
fu subito abbandonata, tanto che in seguito l’impegno politico di Goethe si
volgerà, come già accennato, al serio lavoro politico e diplomatico per il
Gran Duca di Weimar, come suo Consigliere segreto.
[v]
"Guglielmo Maestro" in una traduzione del nominativo
letterale e suggestiva.
[vi]
Goethe nel suo epistolario del 1789 non fece mai cenno alla Rivoluzione
Francese. Solo nel 1790 fa un breve e poco comprensibile accenno in una
lettera al Fr. F. H. Jacobi: “Che la Rivoluzione Francese sia stata anche
per me una rivoluzione, te lo puoi immaginare”. Goethe dietro
l’apparente disinteresse olimpico, nel maggio dello stesso anno negli
Epigrammi Veneziani, sfoga tutta la sua insofferenza: “I grandi pongano
mente al triste destino della Francia, ma, in verità, più ancora lo
ricordino i piccoli! Dei grandi crollarono; ma chi difese la massa contro la
massa? La massa fu tiranno alla massa”. In tal modo Goethe condanna i
capipopolo, gli “apostoli della libertà”, i “demagoghi”,
ed i “fanatici” ingannatori del popolo.
[vii]
Nel 1776 Goethe è membro del Consiglio Segreto, il 6 settembre 1779 è
nominato Consigliere Segreto del duca di Weimar, una specie di super-ispettore
dei ministeri della guerra, delle miniere, della viabilità ed ovviamente
delle attività culturali e teatrali e delle istituzioni accademiche e
scientifiche di Jena. Non a caso egli decretò di mettere in cartellone, ogni
anno, le opere drammatiche di Lessing. In una lettera scriverà: "mi
sembra meraviglioso raggiungere, come in sogno, a trent'anni, il più alto
grado onorifico che un cittadino tedesco possa ottenere". Otterrà il
10 aprile 1782 il titolo nobiliare dall'Imperatore Giuseppe II e nel 1804
diverrà ministro.
[viii]
È difficile comprendere il passaggio di Goethe da una ribellione politica
giovanile all’accettazione di importanti incarichi al servizio del duca di
Weimar. Del Goethe politico è anche interessante ricordare la critica di
Engels che scrisse: "Noi non rimproveriamo a Goethe alla maniera di un
Borne o di Menzel che egli non fosse liberale, bensì che egli, a volte,
potesse essere anche un filisteo, non che non fosse capace di alcun entusiasmo
per la libertà tedesca, bensì che egli sacrificasse il suo a tratti
prorompente e rettissimo senso etico ad una avversione piccolo-borghese verso
tutti i grandi movimenti storici contemporanei, non che fosse un cortigiano,
bensì che egli, allorquando un napoleone ripuliva la stalla di Augia che era
la Germania, potesse occuparsi con tanta solenne serietà delle minuscole
faccende e dei 'menus plaisirs' di una delle più minuscole corti tedesche".
Engels difende Goethe dalle critiche superficiali e piccolo-borghesi di un
Karl Grun, pur tuttavia, sembra non capacitarsi di come un grande ingegno
possa asservirsi ad una politica asfittica e mediocre. Indubbiamente Goethe
assunse posizioni politiche ambigue che così, sempre Engels (1846), vengono
rivelate: “Vi è una continua lotta in lui tra il poeta geniale, che
prova disgusto per la meschinità del suo mondo, e l’avveduto figlio del
patrizio francofortese, rispettivamente il Consigliere segreto di Weimar, che
si vede costretto a concludere un armistizio e ad abituarsi al suo mondo. Così
Goethe è ora colossale ora meschino, ora un genio che sfida, deride e
disprezza il suo mondo, ora un filisteo rispettoso, limitato e senza pretese.”
[ix]
“Proprio a questa considerazione si riallaccia immediatamente la
direzione del mio spirito contro la Rivoluzione francese durante molti anni e
si spiega l’immenso sforzo di affrontare poeticamente nelle sue cause e
nelle sue conseguenze quello che fu il più terribile degli eventi. Se mi
rivolgo a guardare indietro negli anni, vedo chiaramente come l’attaccamento
a questo smisurato argomento abbia consumato quasi inutilmente per così lungo
tempo la mia forza poetica e pur tuttavia, ogni impressione era così
profondamente radicata in me che io non posso negare di pensare ancora oggi
alla continuazione della ‘Figlia naturale’, di immaginarmi nel pensiero
gli sviluppi di questo singolare prodotto senza avere il coraggio di dedicarmi
concretamente alla sua esecuzione”.
[x]
Che poi sarà trattata con sublime maestria nel Prometeo, con
l’affermazione della divinità dell’umano.
[xi]
L'uscita di quest'opera coincide con la riapertura della loggia di Weimar.
Goethe manterrà i contatti con la Massoneria fino alla morte (1832).
[xii]
Gli Alti Gradi della Stretta Osservanza sono quelli superiori al terzo. In
tutto essi sono sette: Apprendista, Compagno, Maestro, Maestro scozzese,
Novizio, Templare, Cavaliere. È un’organizzazione massonica con forti
richiami e simbologie al Templarismo esoterico. È in questa fascia degli Alti
Gradi, dal terzo al settimo, che sarebbero riposti i segreti esoterici più
nascosti
[xiii]
Nel 1737 Andrè-Michel de Ramsay con i "Discorsi sui Crociati e le
Logge Francesi" rivendicava l'origine templare della massoneria.
Nacque quindi in Francia una massoneria con diversi riferimenti ai Templari,
dotandosi di diversi livelli: la sezione nota come Consiglio di Kadosh (livelli
19-30) ed i due livelli finali (31 e 32), noti come Concistori. Tale
organizzazione diede quindi origine al rito scozzese. Nel 1754 Karl Gotthelf
von Hund nel "Del Regime della Stretta Osservanza" difenderà
la medesima tesi e fonderà una loggia massonica di "stretta osservanza
templare".
[xiv]
"Che voluttà ho trovato nei misteri, nelle oscure costruzioni dell'
immaginazione" scriveva Goethe.
[xv]
Per W. Benjamin Goethe è posseduto da una “activité dilettantique”,
nel senso della passione e la capacità di “esercitarsi nei dominî
limitrofi di molte scienze”. Lo stesso può essere detto per Herder e
Lessing. È molto probabile che, oltre alla tipica temperie culturale del
XVIII secolo, molto influisse l’idealità massonica. Dobbiamo anche
ricordare, per meglio intendere, che Jacob Burckhardt inteso il termine
Dilettantismus in senso simile: "Nelle scienze si può essere maestri
anche soltanto in un ambito limitato, ossia come specialista [...]. Ma
se non si vuole smarrire la capacità di una visione generale, anzi
l’apprezzamento del suo valore, allora si faccia in modo da essere
dilettanti in molti altri campi [...].
[xvi]
Dice Benjamin: “Che cosa sono, in fin dei conti, le loro infaticabili
iniziative [...], se non un cambiamento di quinte in una scena tragica?”.
[xvii]
Sempre Benjamin: “Nella forma mitica originaria del sacrificio [mythische
Urform des Opfers], si realizza [...] il simbolismo della morte”.
[xviii]
"La luce e l'oscurità sono in perpetua lotta l'una contro l'altra.
Non si può misconoscere la loro azione e reazione reciproca. Con un'elasticità
e una rapidità inimmaginabili, la luce cade dal Sole verso la Terra e rimuove
l'oscurità; lo stesso accade con la luce artificiale in uno spazio
proporzionato. Ma appena cessa quest'azione immediata, l'oscurità mostra
subito la sua potenza, e si afferma nelle ombre, nel crepuscolo, nella notte".
[xix]
Sembra quasi che Goethe prefiguri il principio di indeterminatezza di
Heisenberg.
[xx]
“Primo grande esperimento riuscito di costruzione artificiale di un legame
sociale" lo chiama Cazzaniga, anticipando Giarrizzo, che la definirà
come “Religione dei moderni”.
APPENDICE
Uno scritto dagli evidenti riferimenti ermetici di Goethe sulla Natura
Natura! Noi
siamo da lei circondati e avvinti – incapaci di uscirne e incapaci di
penetrare in lei più profondamente. Non pregata né ammonita, ci piglia nel
circolo della sua danza e ci spinge oltre, con noi, finché, stanchi, cadiamo
dal suo braccio.
Crea
eternamente nuove figure: ciò ch’esiste non è ancora mai stato; ciò che
fu non ritorna; tutto è nuovo e pure sempre è l’antico.
Viviamo in
seno a lei e le siamo estranei… Parla con noi incessantemente e non tradisce
il suo segreto. Operiamo costantemente su di lei e pure su di lei non abbiamo
alcun potere.
Sembra aver
poggiato tutto sull’individualità, e degli individui non sa che fare.
Costruisce senza posa e senza posa distrugge, e la sua officina è
inaccessibile.
Vive solo nei
figli, e la madre dov’è? È l’unica artefice; crea dalla più semplice
materia pei più grandi contrasti: senz’apparenza di fatica, per la più
grande perfezione; per l’esattezza più precisa, sempre rivestita di un che
di molle. Ognuna delle sue opere ha una propria essenza, ognuno dei suoi
fenomeni il concetto più isolato, e pure tutto si compone in unità.
Rappresenta
uno spettacolo; se lei stessa lo veda non sappiamo noi; eppure lo rappresenta
per noi, che stiamo in un angolo.
È un’eterna
vita, divenire e moto in lei, e pure non progredisce. Si trasforma eternamente,
e non è istante di posa in lei. Non intende la quiete, alla quale ha inflitto
la sua maledizione. È inconcussa; il suo passo è misurato, rare le sue
eccezioni, le sue leggi: immutabili.
Pensato ha già
e medita perennemente; ma non da uomo, bensì quale natura. S’è riservata
un proprio intendimento, che tutto abbraccia e nessuno le può carpire.
Gli uomini
sono tutti in lei, e lei in tutti. Con tutti ella mena un amichevole gioco e
si rallegra quanto più la si vince. Con molti lo conduce in tale segretezza
che arriva alla fine prima che quelli se n’avvedano.
Anche la cosa
più innaturale è natura; anche la più ottusa grettezza, ritiene qualcosa
del suo genio. Chi non la vede in ogni luogo, non la vede veramente in alcun
luogo.
Ama ella se
medesima e fissa eternamente, con pupille e cuori innumerevoli, se stessa.
S’è spiegata, per godere se stessa. Sempre suscita nuovi goditori,
insaziabile di comunicarsi.
Si rallegra
dell’illusione. Colpisce come fosse il più rigido tiranno quei che
distrugge in sé e negli altri l’illusione. Chi fiducioso la segue, ella
stringe come un bambino al suo cuore.
I suoi figli
sono senza numero. A nessuno è in tutto avara, ma ha prediletti, in cui molto
va prodigando e a cui molto sacrifica. Alla grandezza ha legata la sua difesa.
Dal nulla fa
pullulare le sue creature e non dice loro di dove vengano e dove vadano. Solo
camminare devono; lei conosce la strada.
Ha pochi
impulsi, ma non mai consunti; sempre efficaci, sempre molteplici.
Il suo
spettacolo è sempre nuovo, perché ella crea sempre nuovi spettatori. La vita
è la sua più bella invenzione, e la morte è il suo artificio per aver molta
vita.
Avvolge
l’uomo d’opacità e lo sprona alla luce. Lo fa incline alla terra, pigro e
greve, e sempre lo riscuote da capo.
Infonde
bisogni perché ama il movimento. Miracolo come ottenga tutto questo movimento
con tanto poco! Ogni bisogno è beneficio; presto soddisfatto, presto ricresce.
Se ne infonde uno di più, è una nuova fonte di piacere; ma rapidamente tocca
l’equilibrio.
Si accinge in
tutti gli istanti per la più lunga corsa, ed è ogni istante alla meta.
Lascia ogni
bambino tentare con lei i suoi artifici, ogni pazzo su di lei sentenziare,
migliaia trapassare su di lei, ottusi senza nulla vedere, e di tutti gode e in
tutti trova il suo tornaconto.
Si obbedisce
alle sue leggi, anche contrastandovi; si opera con lei anche se si vuole
operare contro di lei.
Di tutto
quello che dà, fa beneficio. Evita che si abbia a supplicarla; ha premura che
non ci si sazi di lei.
Non ha
linguaggio né discorso, ma crea lingue e cuori, traverso i quali sente e
parla.
La sua corona
è l’amore; solo attraverso l’amore ci si avvicina a lei. Spalanca abissi
fra tutti gli esseri, e tutto vuole assorbire. Tutto ha isolato, per stringere
insieme tutto. Con qualche sorso alla tazza d’amore risarcisce di una vita
piena di travaglio.
È tutto.
Premia se stessa e castiga se stessa, si rallegra e si tormenta È aspra e
molle, amorevole e tremenda, inerme e onnipotente. Tutto esiste sempre in
lei… Passato e futuro non conosce. Il presente è la sua eternità. È
benigna. Io lodo lei con tutte le sue opere. È saggia e calma. Non le si
strappa alcuna dichiarazione, non la si sforza ad alcun dono, che non dia
spontanea. È astuta, ma a buon fine, e il meglio è non notare la sua astuzia.
È intera, e
pur sempre incompiuta. Come vive, può vivere sempre. A ognuno appare in una
propria figura. Si cela in mille nomi e termini, ed è sempre la stessa.
Lei mi ha
posto qui, lei me ne guiderà anche fuori. Io mi affido a lei. Mi domini pure;
non odierà la sua opera. Non io ho parlato di lei; no, quel ch’è vero e
quel ch’è falso, tutto ha ella detto. Tutto è sua colpa, tutto è suo
merito.
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