Premessa
Ho voluto chiamare così
questa ricerca perché tali e non altri ne sono i protagonisti: il nome è il
Nome per eccellenza ovvero è la designazione di Dio nella tradizione ebraica.
Tradizione, che trovandosi alla sorgente, dalla quale sono scaturite le tre
religioni nate con Abramo, presenta un evidente e particolare interesse anche
per i popoli, da esse stesse determinati, nel corso del tempo due volte
millenario che sta per concludersi. Inoltre, per sue intrinseche
caratteristiche, l’Ebraismo è portatore di elementi arcaici; alcuni di
relativa evidenza, altri assai meno. Tutti però dal contenuto assai
sorprendente per le possibilità da essi offerte nel far luce su aspetti remoti
della storia. In realtà, sarebbe più corretto parlare di preistoria ma questo
termine è spesso associato con prospettive paleontologiche non contigue al
punto di vista qui utilizzato.
L’approccio al
problema, partendo dai rituali massonici, è assai insolito; sia perché questi
appaiono relativamente poco conosciuti, sia perché sono, erroneamente, ritenuti
elaborazioni colte assai tardive. I segni invece della loro genuina antichità
risaltano, con evidenza, non solo per quanto può scaturire da un esame
comparato del contestuale simbolismo ma proprio - come nei particolari presi in
considerazione – per la presenza di deformazioni ed alterazioni tipiche di una
trasmissione per lungo tempo orale; avvenuta, inoltre, in ambiti linguistici e
culturali, al fondo, lontani dalle fonti, in prevalenza semitiche, di partenza.
Un patrimonio, nel suo insieme, assai diversificato; essendone conseguenza un
lascito complesso: una sorgente ebraica primaria, veicolata dal primo
cristianesimo, alla quale si sono poi aggiunti apporti della tradizione classica
e con essa ma, soprattutto più tardi grazie agli arabi, anche componenti
ermetiche (i.e. egizie), attive queste
- del resto - in tutte le iniziazioni di mestiere dell’ambito europeo.
Il problema principale,
sotteso al ritualismo muratorio, è la ricerca della “parola” perduta del
grado di Maestro. Parola, che dovrebbe coincidere con il vero nome del Grande
Architetto dell’Universo; esso è poi il nome del Creator Mundi nella particolare prospettiva dell’Ars
Ædificatoria: nel seguito, si vedrà come, di parola sostitutiva in parola
sostitutiva, in un gioco di rimandi, connesso alla peculiare natura
dell’ineffabile, si giunga infine ad un Nome per scoprire che è anch’esso
surrogatorio. Anzi, se ne scopre un nascosto, composito assetto, strettamente
dipendente dalla stratificazione cronologica di eventi storici, determinanti lo
stesso intimo e più profondo carattere della tradizione ebraica. Questo ho
provato a fare ed anche se il modus
operandi potrebbe sembrare quello di un mero lavoro d’erudizione – altri
strumenti non essendoci in quest’archeologia materiæ
non signata - la volontà è stata soprattutto quella di pervenire a gettare
una qualche luce sulle vere radici della nostra epoca.
Sigle dei Riferimenti
Bibliografici
Elenco
parziale dei testi consultati
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Z
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Considerazioni intorno
alla parola di Maestro ed al Nome del grande Architetto dell’Universo così
come espressi nei rituali della Gran Loggia Unita d’Inghilterra
Per la priorità storica
dell’Inghilterra nella moderna diffusione della Massoneria, in questo studio,
nella presunzione d’avere così ottenuto una maggior prossimità all’antico,
ho attinto ai testi originali facenti riferimento alla documentazione prodotta
dalla United Grand Lodge. Tale antico,
per me, non si ferma agli inizi del XVIII sec., epoca nella quale si costituì
la Massoneria Speculativa, come, in modo riduttivo, pensano anche alcuni massoni
e neppure si colloca in tempi rinascimentali, qual è opinione di altri ma si
perde invece lontano, ab immemorabili,
com’è del tutto naturale avvenga per qualsivoglia tradizione.
In ogni caso, a mio
parere, la tradizione massonica, ancorché impoverita nella qualità degli
uomini e nell’eterogeneità dei fini,[i]è
autentica e, per questo, meritevole d’attenzione in quanto suscettibile di
fornire indicazioni di notevole valore ove la si sappia mondare dagli effetti di
una patina ottocentesca, spesso fatta di stucchevole moralismo nei paesi
anglosassoni e d’aggressivo impegno politico-laicista in quelli latini.
I rituali massonici, qui
presi in considerazione, sono pertanto quello Emulation per il Craft[ii]e
l’Aldersgate per il Royal
Arch, il quale non è un grado a sé stante ma si colloca, pur con una sua
autonomia espressa in Chapters,
all’interno del Craft stesso quale
estensione e completamento del grado di Maestro e pertanto non deve, in alcun
modo, essere confuso con gli Higher
Degrees.[iii]
Alla chiusura nel terzo
grado, il Maestro Venerabile (Worshipfull
Master), dopo aver ricevuto dal 1° Sorv. (Senior
Warden) i segni ed ascoltato le parole di Maestro - pronunciate ad alta voce -
dichiara: brethren, the substituted Secrets
of Master Mason, thus regularly communicated to me, I, as Master of this Lodge,
and thereby the humble representative of King Salomon, sanction and confirm with
my approbation, and declare that they shall designate you, and all Masters
throughout the Universe, until time or
circumstances shall restore the genuines.
È quindi chiaro come Mahbenah
e Mohabon - sono queste le parole ritualmente comunicate al nuovo
Maestro - siano soltanto parole sostitutive, si tratta ora di vedere da quale
parte cominciare per ritrovare the
genuines.
Per tutte e due il
rituale dà poi una spiegazione che - in quanto tale e in qualche modo –
sembra attenuare l’affermazione dall’impatto più nettamente negativo che ho
citato sopra: <<both words have a
nearly similar import, one signifying “the death of the builder”, the other
“the builder is a sacrificed man”. Nonostante, la [iv]fuorviante
e probabilmente volontaria inesattezza della traduzione, queste due frasi
trasmettono però altrettanti validi suggerimenti:
Le parole, ancorché
sostitutive, non sono prive di senso.
C’è, in entrambe le
frasi, un richiamo al costruttore che - come spiegherò tra poco - è
importante.
R.Guénon,[v]scrive
che le interpretazioni, finora date, non possono trovare una corretta
spiegazione perché, ove si cerchi di inserirle in <<…une
étymologie hébraïque quelconque>>, si rivelano, al primo approccio,
del tutto fantasiose. A questo punto c’è la precisa traccia - ancorché
scontata - di doversi riferire alla lingua ebraica. Ma
leggiamo ancora: <<…ce mot, [è
a Mahbenah che si riferisce] en
réalité, n’est pas autre chose qu’une question, et la réponse à cette
question serait le vrai “mot sacré” ou la “parole perdue” elle-même,
c’est-à-dire le véritable nom du Grand Architecte de l’Univers.>>.
Altrettanto, secondo
logica debbo supporre, varrà per l’altra parola; quindi, essendo due quelle
disponibili ed una la “parola perduta” entrambe le domande dovranno
comportare la stessa risposta.
Mahbenah
corrisponde assai bene all’ebraico mâh
bânâh? che cosa
costruisci? La risposta è evidente: il Tempio.
L’altra parola è Mohabon, per
la quale posso usufruire di un altro prezioso suggerimento dello stesso autore,[vi]che
scrive, in forma alquanto ellittica, <<…qu’on
répondra jamais valablement à la question posée par un “mot” qui a été
déformé de tant de façons diverses, question qui d’ailleurs, chose
curieuse, se lit en arabe encore plus clairement qu’en hébreu:
Mâ el-Banna? >> Mâ,
nella
lingua araba attuale, è un pronome interrogativo avente il senso di che cosa?
Mentre, per gli individui, s’adopera man (chi?). È invece nella lingua aulica, che mâ
è impiegato per interrogare sull’identità personale; anzi, in alcuni passi
della Scrittura, questo pronome sta proprio a designare la funzione divina di
creazione.
Pertanto,
l’equivalente ebraico di Mâ el-Banna? È my
ha bonèh? Cioè,
quello che, con una leggera deformazione,[vii]è
il nostro Mohabon, il quale – in
entrambe le lingue – infine, significa:
chi è il costruttore? Si potrebbe, qui giustamente, osservare
che costruttore non è esattamente la stessa cosa di architetto ma, del resto,
nell’imperfetta spiegazione qual è quella, data in via rituale e più sopra
riportata, si parlava proprio di un builder
e non di un architect ed in
effetti, ciò che troveremo al termine di questa prima fase, non è tanto il
nome del Grande Architetto dell’Universo (GADU) quanto un suo attributo. Tale
disposizione è in analogia ai consueti, terreni rapporti gerarchici, dove, il
costruttore è concettualmente subordinato all’architetto.
I nomi o attributi di Dio
sono settantadue; le difficoltà mi appaiono pertanto minori affrontando la
gamma dei sinonimi relativi a tempio. Ed essi sono essenzialmente due: hikâl
e qados h.[viii]
hikâl ha,
principalmente, il significato di un edificio imponente, monumentale; un
palazzo insomma e soltanto lato sensu
può essere esteso ad un edificio di culto. Un’accezione
propriamente religiosa è invece connessa a qadosh,
lett. santo
ma anche tempio, che - nel
giudaismo, pel concetto dell’imprescindibile unicità del luogo di culto –
non può essere che il Tempio,
cui, tale ieratica ed esclusiva designazione, perfettamente, s’addice. Per
più estesi riferimenti ho utilizzato lo HL,
limitandomi qui a riportare come di qadosh
affermi che è proprio of places set
apart as sacred by God’s presence; da cui consegue che, con tale vocabolo,
viene pertanto designato, e il Tempio, e – prima di esso
– the
Tabernacle and its courts nonché,
con l’espressione
qadosh
qadoshim,
l’inviolabile
Santo dei Santi.
Questa, ottemperando ai
requisiti premessi, dovrebbe essere quindi la risposta nonché la parola
cercata.
Mi rendo conto, come,
l’immediata traduzione con santo
non riesca, in italiano, ad essere del tutto congrua per la designazione del
Tempio; meglio sarebbe, quindi, servirsi di santuario;
però - così facendo - si viene ad attenuare la pregnanza della metonimia
scaturita dalla singola risposta. L’importante, non dovendo esserci un
effettivo uso della traduzione in una lingua diversa dall’ebraico, è capire a
fondo il concetto che sottende l’originale. In questo senso, è utile partire
dall’etimo latino della versione italiana dove il significato, indiviso
nell’unico termine ebraico, si scinde in due componenti. Voglio procedere con
ordine:
Sanctum
è ciò che si trova alla periferia del sacrum e che serve ad
isolarlo da ogni contatto, infatti quest’ultimo ha un doppio significato
designando ciò che non può essere toccato senza essere contaminato o senza
contaminare: mons
sacer, via sacra
/ auri
sacra fames, homo sacerrimus.
Mentre la funzione isolante, di limes, del sanctum, è ben
leggibile nel sanctuarium,
nel murus
sanctus ed anche nella lex
sancta.
Tutto bene quindi per
restituire il concetto di tempio
ma capisco come possa esserci qualche difficoltà a ritenerlo un attributo
del GADU, cui allora parrebbe più appropriato sacro:
<< sacer
indique un état, sanctus le résultat
d’un acte>>[ix]Ma
come siamo arrivati all’attuale senso, anche morale, di santo? E’ un
portato, storicamente ben collocabile, che ha mutuato il suo significato proprio
dall’ebr. QaDoSh, nella cui radice
si trova, allo stato principiale, ciò che, come ho già accennato, nel latino
ha dato luogo alle due accezioni esaminate.
E, infatti, nello HL,
alla traduzione di qadosh,
la dicotomia risulta ben evidente:
sacredness, apartness: il primo concetto riconduce a Dio e pertanto
all’Attributo, il secondo alla Casa di Dio ovvero al Tempio.
L’esame
radicale e comparato della parola (QaDoSh),
mi conferma i due significati qui sopra riportati[x]nonché
il suo ruolo nella corrispondenza funzionale col GADU.
Ambito di sacredness
FdO, per QD, scrive:
<<Le point vertical, le pole, le
sommet de quelque chose que se soit; le pivot, le mobile, le point sur lequel
tout porte, tout roule.>>
Mentre per Sh: <<Comme image
symbolique, il représente la partie de l’arc d’ou la flèche s’élance en
sifflant.>>. Sembra palese che
siamo di fronte all’immagine del prodursi di tutta la manifestazione da un
punto o anche, in termini più “muratòri” e più consoni al contesto
biblico, è l’Antico dei Giorni che, con il suo compasso, divide le acque
superiori da quelle inferiori: <<... quando tracciava un cerchio
sull’abisso…>>.[xi]
Ben evidente è la
prossimità semitica all’accadico quddušu,[xii]essere
luminoso, splendente, che, in
termini concettuali ma non linguistici, richiama l’idea mazdea ed iranica
della Xvarnah, la luce di gloria propria ad ogni manifestazione del
divino.
In un senso più
ristretto qdd
è inclinarsi e qdh
è un inchino; evidente
riflesso della maestà connessa alla radice.
Ambito di apartness
QD ha
naturalmente anche il senso di separare,
dividere <<…une ligne de démarcation,
une fissure, une entaille; c’est en particulier, la taille de quoi que ce soit, la proportion corporelle…>> (FdO).
Per
quest’ultimo ambito, c’è da mettere in evidenza come, nonostante la doppia
valenza di Qadosh, esista nelle lingue semitiche un’altra serie di termini per i quali
sono assai evidenti i rapporti con le accezioni di sacer piuttosto
di quelli relativi a sanctus ma ritengo più proficuo privilegiare il vocabolo nel quale le
possibilità semantiche sono più ampie.
Ma ritorno ora alle
nostre due domande; com’è facile constatare, sia nel sostantivo bonèh,
sia nel verbo bânâh
l’elemento radicale è rappresentato da Ö
bn . Qui,
il FdO mi è ancora
d’aiuto: <<… cette racine développera
l’idée d’une extension génératrice … d’une émanation … elle sera
le symbole de toute … manifestation de l’acte générateur … dans un sens
propre c’est un fils, une formation, une corporisation, une
construction.>> In essa, si
trova pertanto, in nuce, quello che se
ne svilupperà ossia: dal piano dell’idea a quello della concretezza
dell’edificio. Dal suo fondersi con la Ö yn - <<…
toutes les idées de manifestation particulière et d’être individuel>>
- consegue
Ö byn
®
bynâh: <<L’intelligence;
ce qui élit intérieurement et dispose les éléments pour l’édification de l’âme.>>.
Questo percorso mi ha così
portato a trovare la ragione profonda di uno di quelli che, per travisamenti
secolari, sembrerebbe poter classificare tra i luoghi comuni di un certo
moralismo massonico: la costruzione del Tempio interiore.
Il rapporto tra il
Manifestato ed il suo Principio sono illustrati, nella tradizione ebraica,
dall’Albero Sefirotico (da Sephiroth,: numerazioni),
il quale gioca un ruolo fondamentale in quell’esoterismo. Esso
e n u m e r a appunto dieci “categorie”, disposte secondo un impianto
tripartito, dalla forma d’ideogramma geometrico mentre il Principio
dell’intera costruzione ha un ruolo matematico e, a maggior ragione,
metafisico di zero: è l’Inconoscibile o Ayn-Soph ( lett. senza
limiti) che sovrasta lo schema standone però all’esterno.
La
terza di dette categorie è la
nostra bynâh,
l’Intelligenza.
Ciò, che qui,
particolarmente, m’interessa è l’abbinamento,
attuato dalle
dottrine cabalistiche,
tra le
Sephiroth
e le
più diverse serie
concettuali d’ordine
teologico,
cosmologico o morale. In
tale prospettiva,
è importante
vedere con
quali conseguenze,
concependo
l’
e n u m e r a z i o n e come
progressiva manifestazione d’alcuni nomi di Dio, a bynâh
risulti appaiato il Tetragramma YHWH
.[xiii]A
conferma, nel Decalogo, è il terzo enunciato, che ha come tema il Nome :
<<Non pronuncerai invano il Nome del Signore, perché il Signore non
lascerà impunito chi pronuncia il Suo Nome invano>>.[xiv]
Ed è noto che tale compito fosse riservato - una volta l’anno, nel giorno
dello Yom Kippur - soltanto al Sommo
Sacerdote.
Resta, ora, da trovare la
non ancora individuata identità dell’Architetto, che concepisce il progetto
poi attuato dal Costruttore. Per far questo debbo tornare ai rituali, dei quali
rimane da esaminare quello del Royal Arch,
che, come ho già scritto, è il completamento del grado di Maestro ed al quale
si accede attraverso un rito che ha nome Exaltation.
Al termine di esso, al Maestro “esaltato” viene espressamente rivelato
il vero nome del GADU che è, appunto, il Tetragramma. Quindi i rapporti
gerarchici, tra Square Masonry ed Arch
Masonry, risultano – sempre per legge d’analogia - un riflesso di quelli
esistenti tra uno dei nomi o attributi e quello che è il Nome ovverosia <<…l’Hiérogramme
du Grand Architecte de l’Univers>>.[xv]
Per altro, attraverso una
delle operazioni alfanumeriche della Cabalah,
a bynâh
è attribuito il valore di
50,[xvi]il
quale coincide con il risultato della somma dei quadrati dei lati del triangolo
rettangolo (di proporzioni 3 / 4 / 5)[xvii]su
cui si basa la Master’s square: è
pertanto all’Intelligenza che si rapportano – come dimostrano tutte queste,
sottese relazioni - sia la Square, sia
l’Arch Masonry, trovando in essa attinenza qualsiasi opera costruttiva
a qualsivoglia livello ontologico la s’intenda intraprendere.
Per completezza, debbo
aggiungere che, alla Sephira
bynâh,
è anche collegato il nome alôhym
e per esso,
come suggerito da Gen. 1.1 <<Berashit
bera Elohim…>>,[xviii]
si perviene ad una stretta rispondenza con la prima parola della Torah: Bérashyth, in
principio. Poi, attraverso questa, dalla scissione in due componenti, nasce un
nuovo significato: Béra
Shyth,
Egli crea sei. È così, significativamente, mostrato il determinarsi delle
sei direzioni dello spazio.
Come si può vedere,
siamo sempre in piena cosmogenesi; in effetti il collegamento, di alôhym
e bynâh
con il Tetragramma, è quello che si ha quando la Presenza/Potenza (Shekina),
di Dio si manifesta ed opera in
questo mondo ed il testo biblico, nell’originale ebraico, fa apparire evidente
questo ruolo <<..è detto, Elohim che
la luce sia ! E la luce fu>> [xix]
Tale Fiat Lux primordiale
ha la sua corrispondenza microcosmica nel processo iniziatico in quanto -
mentre il primo determina l’ordinamento del caos–
quest’ultimo produce un’analoga rettificazione nel composto individuale del
neofita o Entered Apprentice.
Adesso, ritengo che si
possa stabilire quale sia la corrispondenza massonica degli Elohim
creatori: se esamino questo nome
– che è, appunto, un plurale - constato come, sempre lo Zohar,
lo metta in relazione con il settenario, completando in tal modo il nesso già
rilevato con le direzioni dello spazio. Esse – diciamo così – si riassumono
nel centro da cui originano ed è quindi, in definitiva, esso
stesso ( che è poi un loro: gli Elohim),
il soggetto della frase: Egli crea
sei. Ciò facendo, determinano il settimo e principale componente nella croce a
tre dimensioni che, secondo i modi della geometria descrittiva, le rappresenta.[xx]Ma
per formare una Loggia e poter quindi trasmettere l’iniziazione sono necessari
sette maestri, i quali saranno così - in piena armonia con tutto il simbolismo
cosmologico del Tempio - la proiezione terrena di quel consesso celeste.
Torniamo ora al Nome, sul
quale il rituale dell’Exaltation ci
riserva ulteriori informazioni: al termine of
the legend that deals with the “discovery” of the lost secrets at the
re-building of the Temple after the return from the Captivity, viene
scoperto (è letteralmente nascosto da un velo) il Nome del GADU.
Di fatto, la cosa si presenta più complessa: c’è sull’ara la
rappresentazione di una circonferenza, nella quale è inscritto un triangolo
equilatero. Nella parte superiore, della circonferenza, sta scritto
Jehovah, sui lati del triangolo, spezzata in tre parti, si legge la parola Jah-bul-on.
In corrispondenza dei vertici si trovano le lettere !,
",
-.[xxi]Di
tutti questi elementi esaminerò in particolare il primo perché del
Tetragramma YHWH, oggi,
come si sa, la pronuncia generalmente accettata concorda per il convenzionale Iahveh
pur non escludendo che in antico essa fosse diversa. Questo
suggerimento rituale, appare invece confermare un’indicazione del simbolismo,
che fa ritenere come, quella originaria e supposta perduta fosse, appunto, Jehovah; consonante, d’altronde, con l’altro, più insolito Nome di Jahbulon.
Quanto alle tre lettere ebraiche, con le quale si esemplificavano
interessanti combinazioni, esse non compaiono più per precise ma non
chiarite disposizioni[xxii]del
Supreme Grand Chapter. Ma torniamo al
problema della pronuncia; a favore della seconda dizione del Nome debbo fare
anche questa considerazione: la forma della lettera yod è
quella geometrica di una piccola squadra e pure una squadra è la gamma
maiuscola; entrambe, nel simbolismo e in antichi rituali, sono associate
alla G la cui pronuncia può essere
gutturale come in God – dove
l’assimilazione fonetica a “yod” era, in inglese, espressamente voluta (Yah[xxiii]
è uno dei nomi) – oppure dolce come in
Geometry (the fifth science secondo l’enumerazione delle sette arti
liberali) ma in ogni caso è sempre detto che essa stands
for God.
Ora, parrebbe d’esser
giunti al termine della quête avendo,
secondo il diligente investigare sin qui condotto, trovato sia la Parola, sia il
Nome; infatti, riepilogando: qadosh
è l’Attributo di BonèH,
il Costruttore e qadosh
è la vera parola
del grado di Maestro. Il Costruttore è poi ipostasi di YHWH, ed il Tetragramma, con la pronuncia Jehovah,
è pertanto il Nome dell’Architetto ovverosia del GADU, Nome e pronuncia che
sono rivelati nel Royal Arch al
completamento della Maestria.
Ma la via iniziatica ha
sue specifiche caratteristiche ed anche se attentamente percorsa con gli
strumenti dell’erudizione, è necessario tenerne conto. Pertanto, nonostante
quanto acquisito, il viaggio non è giunto al suo termine: cosicché, collocando
il punto di vista ad un livello superiore di realtà, l’orizzonte si allontana
ulteriormente. Infatti, ogni forma tradizionale e, di conseguenza, ogni lingua
sacra che la supporta, non sono, essi stessi, altro che sostituti della
Tradizione Primordiale una ed indivisa come pure della lingua originaria
anch’essa unica e comune a tutta l’umanità. Dobbiamo quindi avere ben
presente che siamo, ancora una volta, di fronte a termini sostitutivi. Del
resto, il reale raggiungimento dell’obiettivo implicherebbe l’aver
conseguito la pienezza della realizzazione e questa – appartenendo per sua
stessa natura all’ineffabile – comporterebbe l’incomunicabilità della
“parola ritrovata”, a maggior ragione poi attraverso uno scritto.
Nell’ambito iniziatico
del mondo classico, cui la Societas
Latomorum è debitrice per quel filum che
la lega ai Collegia Fabrorum,
questi ultimi, in
quanto organizzazioni
artigianali, appartenevano
ai “piccoli
misteri” e - a chi vi militava - si poneva, come meta della realizzazione
spirituale, il raggiungimento della condizione di “uomo primordiale” ovvero,
secondo la terminologia cristiana, il superamento degli effetti della
“caduta”.
È quindi evidente come
nel Tempio non possano mancare gli accenni alla Tradizione Primordiale; in altri
termini alla fase iniziale di questo ciclo di umanità, la sede della quale - il
berceau originario - elementi
concordi, presso le più diverse tradizioni, collocano - per quanto ciò possa
apparire singolare - in posizione artica.[xxiv]
Tale localizzazione, di
fatto, risulta in Loggia con tutta evidenza: ancor oggi, quando l’ambiente
dedicato a quest’uso è arredato e composto secondo le prescrizioni, dovrebbe
esserci una volta stellata ed inoltre dovrebbero essere esposti i segni
zodiacali e messi intorno alle pareti sì da riprodurre la situazione che si ha
ponendosi esattamente sul Polo. Da questa posizione sommitale sul globo
terrestre, lo Zodiaco appare dietro al cerchio dell’orizzonte di modo che,
quest’ultimo viene a coincidere con l’Equatore celeste; quindi, per
l’esattezza, nella realtà geografica, esso emerge per la metà superiore, cioè
sino al Tropico del Capricorno in guisa che, l’altro settore della fascia,
quello limitato a Sud dal Tropico del Cancro, resti nascosto alla vista.
Anzi, nel Tempio degli Operativi, l’ambiente artico era ancor più
leggibile essendo la Polare posta al centro della volta quale <<siège
effectif du Soleil central, caché de l’Univers, Yah[xxv]
>> e
la G si ritrovava inscritta o
circoscritta ad essa. In quest’ultimo caso, era invece inscritta la
yod e, dal tutto, calava, fino al pavimento, un filo a piombo, che terminava
al centro di uno swastika formato da
quattro gamma maiuscole ( a forma di L rovesciata),
riproducenti il movimento (senso antiorario) delle due Orse[xxvi]e
di tutto il firmamento intorno alla Polare nel corso delle ventiquattro ore.
Questo è il senso del moto celeste che - anche alle nostre latitudini - risulta
tale ove lo si osservi volti a Settentrione mentre con la direzione rituale[xxvii]ad
Oriente (cristiana e massonica) lo spostamento ci appare essere quello delle
lancette dell’orologio ed è il Sole, più
che le stelle, a dominare la scena.
Non a caso le Soleil central caché…
è Yah ed è rappresentato dallo yod,
che avendo appunto, in piccolo, la forma speculare a quella della gamma
maiuscola ( a forma di L rovesciata) corrisponde
all’altro senso di rotazione dello swastika
: giustamente quello solare.
Naturalmente questi sensi
di rotazione hanno una serie di “ricadute”: ad essi corrisponde il movimento
di deambulazione in Loggia e per analogia, in un contesto sacrale più ampio,
quello intorno ai luoghi di culto,[xxviii]fino
a definire l’andamento della scrittura in vari ambiti culturali.
A riprova di quanto sia
forte l’interna coerenza di tutto il simbolismo tradizionale, mi è utile
sottolineare che, avendo in precedenza[xxix]messo
in rilievo (per la cosmogonia ebraica, a proposito della croce a tre dimensioni)
una prima relazione tra lo spazio ed il tempo, egualmente, essendo ora pervenuto
ad un esame dello swastika
ed avendo esteso l’indagine all’Induismo, indottovi dal nome stesso
del simbolo, posso individuarne una
seconda. Nel Genesi, al succedersi dei giorni, c’è una formula sempre
ricorrente che è lecito definire d’approvazione e pertanto di benedizione
dell’opera compiuta: <<…and God
saw that it was good>>
ovvero ky tôb.[xxx]
Per elementari cognizioni
di geografia astronomica si sa che il volgersi, nello spazio del cielo polare,
dei due suddetti asterismi, produce una completa rotazione nell’arco delle
ventiquattro ore. Rotazione, appunto, plasticamente raffigurata dallo swastika;
si marca così, ad ogni giro, il transito da un giorno al successivo.
Infatti, viene parimenti ripetuto: <<E fu sera e fu mattina>>.[xxxi]Ebbene,
in skr. swastika
– che è di per sé
segno di <<good luck>> -
può divenire , se sono utilizzati <<the Asoka characters>> ,
il monogramma di
sw-astì
il cui
senso è reso dal
benedicente <<may
it be well with thee !>>. Se poi prendiamo il sostantivo composto swastivâcana,
troviamo che trattasi di <<a
religious rite…performed by…invoking blessings by repetition of certain
Mantras>>;[xxxii]proprio
l’esatto corrispondente dell’iterativa formula biblica. Trovo davvero
suggestivo pensare come un tempo questa benedizione divina potesse quindi,
letteralmente, leggersi nel cielo.
Tali precisazioni, sia
detto per inciso, tolgono ogni significato a tutte quelle strane fantasie, nate
dall’arbitrario contenzioso politico sorto, per le note ragioni, riguardo allo
swastika, che lo vorrebbero
buono o cattivo a seconda del suo senso di rotazione e chiariscono invece il
significato fondamentalmente cosmologico che gli è proprio.
Questo detto – stante
la posizione assiale del Polo nel mondo terrestre - risulta evidente perché la
Camera di Maestro venga detta Camera di Mezzo (the middle chamber) ed anche si comprende perché il Tempio –
inteso in un’accezione universale - dovrebbe essere a pianta quadrata (Square
Masonry) proprio per la simmetria di quella figura rispetto al suo centro.
Il cerchio (cupole ed archi competono alla Arch
Masonry) attiene al cielo mentre il quadrato alla terra; ne consegue che –
tra i numeri - il quattro si rapporta all’aspetto sostanziale della
manifestazione, dando luogo, nella concretezza dell’edificio, all’alzata
cubica che potrà o meno essere culminata da un assetto architettonico derivato from
a circle’s development, a sua volta sensibile aspetto della relazione tra
cielo e terra.
Un semplice cubo è
difatti la Kaaba ed un cubo era il
Santo dei Santi ma l’allontanamento, non solo geografico, dal Polo ha
provocato una specie di compromesso; pertanto l’attuale planimetria della
Loggia, di proposito, non è descritta come un rettangolo ma come a double square. Con
questa duplicazione, si è ottenuta, per l’allungarsi della figura, una
direzione (qibla), che - non potendo
più lo spazio sacro incentrarsi sulla proiezione del “sole zenitale” - è
ormai quella volta a Solis adventus,
caratteristica di più basse latitudini. Quindi, sul lato corrispondente
all’aurora, dietro al Venerabile - a ragione dell’immutata posizione dello
zodiaco astrologico, che ha “dimenticato” di tener conto degli effetti del
moto precessionario - è ancor oggi indicato il segno dell’Ariete - asterismo in cui
sostava il
punto vernale
in epoca
salomonica (-968 / -928)
- cioè esattamente
l’equivalente grafico di una lettera gamma minuscola; piccola, appunto, come piccola è la square
dello “Yod“ ed entrambi, contrassegnati da una relazione col
sole da intendersi, quindi, sostitutiva di quella polare originaria.
Quest’indagine sulle
caratteristiche del Tempio, mi ha permesso di meglio illustrare le relazioni tra
Yod /
Gamma / G, ottenendo così un’ulteriore conferma riguardo alla
pronuncia di YHWH;
inoltre – nel sottolineare l’importanza di Yah, - viene messa in luce un’evidenza alla quale farò ancora
cenno a proposito del significato insito nello stesso Hiérogramme du GADU.
Parimenti interessante è
un’altra connessione esistente tra il Nome ed il Tempio: l’architettura
cubica di base, oltre a poter essere sovrastata da una cupola, può esserlo
anche da un dôme piramidale com’è
verificabile per alcune chiese e per molti campanili. Questo solido, che sul
piano diventa un quadrato sormontato da un triangolo, è un simbolo presente in
molte Logge ed è chiamato “ broached thurnel” ma il termine italiano “pietra cubica a
punta” m’appare, descrittivamente, più esatto. Quand’esso è riprodotto
in immagine, vi è inscritto il Tetragramma, il quale è scomposto in modo che
lo Yod risulti posto al centro del triangolo mentre le rimanenti
lettere HWH sono collocate nel quadrato. Più sopra, abbiamo visto come, al
quattro, corrisponda l’aspetto sostanziale del creato mentre, al mondo dello
spirito, afferisce il tre e come entrambe le cifre siano congruamente
rappresentate nei due poligoni (triangolo + quadrato) e nel modo in cui questi
sono disposti per formare la figura in esame.
Inoltre, se tengo conto
delle corrispondenze esistenti tra le lettere ed i numeri nell’alfabeto
ebraico, risulta per l’intero Nome il valore di 26: in questo totale, 10 deve
essere attribuito allo Yod
,[xxxiii]che
è appunto l’essenza del Nome stesso mentre per le altre lettere si ottiene
una somma pari a 16 ovvero il
quadrato di 4 , cioè l’area della
superficie su cui sono tracciate. Queste attribuzioni, per le concordanze con il
mondo classico presenti in Loggia, trovano conferma nel pitagorismo: in esso, il
valore riassuntivo (essenziale) del 10
rispetto alla substantia del
4
- a sua volta rappresentato dalla Tetratkys: 1 + 2 + 3 + 4 = 10 - è testimoniato da un’altra rappresentazione
della stessa figura nella quale, al posto delle lettere ebraiche, si possono
trovare punti geometricamente distribuiti: in n. di 10 nel triangolo ed in n. di 16
nel quadrato.
Il senso sotteso al
simbolo è pertanto da intendersi come se fosse la forma stessa del Tempio a
proclamare il nome GADU. La
pregnanza di esso è tale che i massoni letteralmente se ne rivestono: in
the English version del grembiule
– quadrato con bavetta triangolare – l’identità con il
disegno in argomento è perfetta se si considera che, the
Entered Apprentices should wear their aprons with the bibs up.
Più sopra, ho fatto riferimento all’illusorietà di un
raggiungimento della Parola e del Nome definitivi; ebbene, si deve ora accettare
e prendere atto di come, anche YHWH,
rimandi, a sua volta, a
qualcosa di diverso e che, <<…suivant
l’interprétation la plus autorisée et la plus plausible, il s’agit en réalité
d’un mot composite, formé par la réunion de trois noms divins appartenant à
autant de traditions différentes>>.[xxxiv]Del
resto, un suggerimento che questo fosse il modo di procedere
nell’interpretazione, appariva implicito nella suddivisione del secondo Nome
– Jahbulon - sui tre lati del triangolo.
In effetti, quando i Tre
Principali del Royal Arch, si
comunicano la Parola – in entrambe le varianti è, appunto, un Tetragramma per
la sostanzialità d’ogni scrittura (in analogia con supra; a proposito del
numero quattro) - lo fanno in modo assai singolare e spezzandola in tre sillabe (Je–ho–wa e Jah-bul-on )[xxxv]e
questo poiché la voce, veicolo del Verbo e quindi dell’essenzialità, si
rapporta, a sua volta, al tre nel simbolismo numerico.
La rappresentazione della
specifica leggenda dell’Exaltation è
incentrata sul secondo Tempio, cioè after
the return from the Captivity e pertanto i Tre Principali rappresentano:
Zorobabele, come Re
(figlio di Sealtièl, guidò una colonna di esuli al ritorno da Babilonia: -520,
tutti e tre
i personaggi sono contemporanei);
Giosue, come Gran
Sacerdote, (figlio di Jozedàc);
Aggeo, come Dottore della
Legge, (profeta).
Ma, dalla leggenda iniziatica del grado di Maestro ci è noto come il
segreto della Parola fosse custodito dai primi tre Grandi
Maestri; <<…Our Master [Hiram],
true to his Obligation, answered that those secrets were known to but ..[only
three persons]…in the world and without the consent and co-operation of the
other …[two]…he neither could
nor would divulge them…>>. Ed
essi erano:
Salomone,
Hiram, Re di Tiro e
Hiram Abi,
l’Architetto, quest’ultimo però, negli Old
Charges, non è mai chiamato così bensì Amon che in ebraico significa,
infatti, artigiano.
Quindi le connessioni con
le tre traditions différentes sono:
per la componente
Je- e
Jah-
Je-
e Jah-
è
il precitato Yah ma è la stessa
lettera yod , che costituisce in sé un nome divino. Questo,
rapportandosi a Salomone, sembra la più diretta espressione della
tradizione ebraica e soprattutto, da questa, della Tradizione Primordiale. Ma
andiamo con ordine: dello “Yod“ viene detto essere formato dall’unione di
tre punti corrispondenti alle tre middoth supreme ed inoltre – a motivo del suo geometrico disegno -
si afferma che da esso, per combinazioni, derivino tutte le altre lettere dello
squadrato alfabeto chiamato caldaico[xxxvi](cfr.
infra, punto 2.)
Il suo valore numerico è, lo abbiamo già visto, 10
pari appunto alle Sephiroth, a
loro volta espressioni di tutto il manifestato.[xxxvii]La
sua trascrizione in
lettere latine è I e << …I
s’appellava in Terra il sommo Bene…>>[xxxviii]dice
Adamo, riferendosi ai tempi edenici ossia proprio alla Tradizione Primordiale -
per la quale cfr. MMW, il skr. Îsh,
master, Lord, the Supreme Spirit[xxxix]
- mentre Francesco da Barberino nel suo Tractatus
Amoris - in un’incisione - si
fa raffigurare in adorazione della lettera I.[xl]Del
resto, perché non supporre che la nostra forma Iddio sia da intendersi <<I
[י]: Dio>>, evidente ri-velazione di un Nome?
In questa componente i
due Nomi coincidono.
per le componenti
-ho- e –bul-
-ho-:
si rapporta ad Hiram, Re di Tiro, che ebbe tuttavia un ruolo nella costruzione
del Tempio. Il suo nome, probabilmente per influenza del racconto biblico, è
stato poi trasferito, con l’avvento della Massoneria Speculativa,
all’Architetto sostituendosi così al nome originario che era appunto Amon
(cfr. supra p. 8 et
infra, punto 3.
). L’allusione ad un Re straniero anche se prossimo e di un regno posto a
Nord della terra d’Israele, sembra ricondurre alla tradizione caldaica dalla
quale sorse l’ebraismo come viene suggerito dal racconto d’Abramo sortito da
Ur per dare inizio alla sua fatale migrazione. A conferma,[xli]abbiamo
l’accadico ha’atu:
watchful, said of gods and demons ed ancora
hâtu: to watch over, to take care
of ma anche hadû:
joy. Per quest’ultimo è da notare la curiosa convergenza con ¬dßV e la parallela
relazione semantica esistente tra God e
Good.
–bul-:
anche in questo caso il riferimento settentrionale è dominante, sia perché,
nella forma ba´al, it seems to have been used, as divine name, in
Northern Kingdom of Israel (HL), sia perché il termine, di generale
radice semitica, con il senso di rule over, be lord, era diffuso in tutta
l’area; dalla terra di Canaan all’Assiria (cfr. acc. Bêlu) quale
nome di divinità. Per tutti questi motivi – il rigetto di Ba´al,
nella Bibbia è ripetuto innumerevoli volte - è assai strano trovarlo nel
nostro contesto e, forse, l’alterazione vocalica (a ®
u) potrebbe essere stata volontaria
proprio per dissimularne, in qualche modo, l’identità. In ogni caso, il
legame con la componente –ho-, apparentemente più “ortodossa”, è
evidente anche nel riferimento a Tiro; città dove il dio era chiamato Ba´al
Melqart ovvero, letteralmente, Re della Città.
per le componenti
-wa
e -on
-wa:
si
rapporta ad Amon, l’Architetto del Tempio; la radice è la stessa di Amen che
esprime <<en hébreu comme en arabe,
les idées de fermeté, de constance, de foi, de fidélité, de sincérité, de
vérité, qui s’accordent fort bien avec le caractère attribué par la légende
maçonnique au troisième Grand-Maître>>[xlii]. Inoltre è
immediato metterlo in relazione con l’omonimo dio egiziano che ha invece il
senso – pur esso non contraddittorio al contesto - di misterioso. Per tutto ciò,
appare evidente come Wa debba
riferirsi a quest’ultima tradizione dalla quale l’Ebraismo ricevette
sicuramente notevoli apporti ed il collegamento risulta soddisfacente per Wsir
che è il “nome reale” di Osiride. Nel nostro caso Wsir
sarebbe l’egiz. Ws – iri,
ovvero onniveggente, che – quale attributo divino - risulta accettabile. Oltre
a ciò ho anche trovato per la Ö
wsr
il senso di potenza e per la Ö wr
[xliii]quello
di grandezza ed essi pure ben si
integrano al precedente attributo, sembrando semmai l’ultimo prevalere sugli
altri per contenimento.
In Plutarco,[xliv]si
trovano - a proposito di queste relazioni - alcune interessanti notizie:
*
<<…il est interdit aux dévots d’Osiris (puisqu’il est le même que
Dionysos) détruire aucune arbre
cultivé…>>,[xlv]
*
<<C’est tout d’abord le caractère tauromorphe qui constitue la preuve
de l’identité d’Osiris et de
Dionysos..>>,[xlvi]
*
<<…Dionysos, qu’une opinion alors[xlvii] répandue pensait identique au dieu des Juifs>>.[xlviii]
Tutte e tre queste
affermazioni rimandano a Dioniso ma non mi sembra il caso d’approfondire ora
questo aspetto; qui mi limito a quelle connessioni che esso comporta con
l’argomento. C’è da dire intanto che, dalla terza di esse, ho conferma
delle equivalenze esistenti: Dionisio º
Osiride = Wsir º
Wa delle quali, s’aveva, evidentemente ancora e in qualche modo,
contezza sino all’epoca ellenistica. Poi - nelle altre - trovo una qualche
giustificazione di tre momenti d’idolatria del popolo d’Israele: enigmatici
i primi due, dovuto invece alla conquista straniera il più recente.
*
Noto è quanto avvenne ai piedi del Sinai[xlix]mentre
Mosé sul monte incontrava YHWH,
che già - nell’episodio del roveto ardente[l]-
gli si era manifestato come
Essere [li]il
popolo, nell’attesa, Lo
(direi che il destinatario è lo stesso ma è il modo che non è più
accettato) adora come idolo tauromorfo.
*
L’altro episodio è successivo e risale Re Roboamo (-931 / -913), che
sull’esempio del Regno settentrionale permette che alberi e pali sacri
divengano oggetti di culto, sino a che il Re Giosia (-640 / -609),
nell’intento di purificare i costumi religiosi, fa togliere e distruggere vari
oggetti introdotti nel Santo dei Santi e tra essi appare appunto un palo sacro
(2Re, 23.6) mentre, sui monti intorno, ordina vengano abbattuti altari,
boschetti ed alberi sacri. Anche qui, come nel caso precedente, sembra che
manifestazioni di culto, un tempo del tutto regolari, siano poi percepite come
idolatriche: all’epoca di Giosue (metà del XIII sec. a.C.) è detto
esplicitamente <<…the oak which is
in the sanctuary >>.[lii]Quella
quercia la ritroviamo – pur se in un ruolo di minor valenza – in numerosi
altri riferimenti scritturali.[liii]Però,
la cosa più sorprendente è che the oak
in ebr. è alh
ovverosia pressoché identico ad Al,
il quale è uno dei nomi ma era il Nome tout
court presso i Cananei e che si
trova, infine, alla base proprio di quell’enigmatico plurale alôhym
precedentemente indagato.
* Nell’ultimo fatto, l’elemento strano è che
Dioniso è ancora protagonista: Antioco
IV Epifane (-175 /
-164), nel –167, in conformità a tutta la politica ellenizzante della
dinastia dei Seleucidi, impose che
il 25 Kislev, data del suo compleanno, il dio fosse festeggiato; però, questo
ed altri più gravi episodi di carattere sacrilego non furono accettati dalla
maggioranza della nazione e contribuirono, in seguito, ad innescare la rivolta
dei Maccabei.
-on
: il riferimento è, anche in questa circostanza, da ricercare nello stesso
ambito geografico; ma, a differenza di quello che possono pensare alcuni autori
di studi massonici,[liv]non
è qui, a mio parere, il caso, (ne mancano i presupposti linguistici) come per
la componente –wa, di riportarsi all’<< Egyptian god Osiris>>
ma, piuttosto, all’enigmatica fase “monoteistica” di quella tradizione,
che trova i suoi inizi tra quei sacerdoti di Heliopolis, i quali fecero del
simbolo solare On (or Aton; an ancient name for the physical sun, that
was employed to designate him.) il centro del loro culto. Culto, che ebbe
poi valenza totalizzante per l’intero paese nel - per tanti versi misterioso -
regno del Faraone Akhenaton, al cui riguardo, sono note le supposizioni
d’appartenenza al popolo ebraico. Questo
suffisso ricompare curiosamente anche nei toponimi Gabaon, GaBiON
e Aialon, AYaLON] che sono relativi ai luoghi nei quali avvenne il
famoso episodio (Gs. 10.12) della battaglia, durante la quale, Giosue, per
conseguire la vittoria, chiese a Dio di fermare il sole. GaBi,
ha il senso di convex, high; un colle insomma mentre AYL, è,
significativamente help: Aialon potrebbe dunque leggersi come
<<l’aiuto del sole>>. Gabaon ha poi avuto un uso massonico
ben preciso, essendo stata indicata, fino agli anni ’80 del XIX secolo, nei
rituali francesi, come <<la dénomination mystérieuse des Maîtres>>
mentre in alcuni, attuali rituali inglesi, accompagna il segno di riconoscimento
del secondo grado. Non può essere infine trascurato che, Aton avesse
anche un nome dal netto sapore ebraico: Yati.[lv]
Ma, ciò che più stupisce, è che nessuno, a mia conoscenza, abbia ancora
messo in evidenza come un nome di Dio, quello di norma pronunciato, sia Adonai
ovvero ADON, Signore, la cui
eguaglianza con l’appellativo egizio appare immediatamente. È
evidente come tutto quest’ordine di possibilità meriti d’essere
particolarmente vagliato anche perché le tracce massoniche tendono a
confermare l’ipotesi ebraico-eliopolitana; tale indagine porterebbe però
oltre gli intenti del presente lavoro.
Lo sviluppo di questa
parte finale, relativa agli elementi costituenti la tradizione ebraica, è di
notevole importanza, in specie per comprendere gli apporti, che hanno
determinato il formarsi dell’assetto religioso delle culture egemoni nel ciclo
di civiltà cui noi apparteniamo.
Leggi Parte Seconda
NOTE
[i]
Non deve però essere trascurato il lato “benefico” della casualità del
reclutamento massonico: esso ha comportato, e tuttora permette, un aumento delle
chances di sopravvivenza, nei tempi ultimi, dell’intera Istituzione
[ii]
L’Ordine, nella terminologia italiana.
[iii]
I Riti, nella stessa terminologia.
[vi]
Ibidem, t.I, p. 128.
[vii]
Come faccio cenno nella prefazione, queste deformazioni, sono frequenti;
un’altra, caratteristica è quella relativa al cappio che sta intorno al collo
del candidato all’iniziazione. In ing. è chiamato cable-tow. Questo deriva dalla deformazione,
per assonanza, dell’ ebraico qïbolty, ho ricevuto; stesso etimo di Qabalah,
vedi infra, n. 58] da cfr. con l’ar. qabeltu [ammissione,
accettazione nel tasawwuf], relativo all’impegno iniziatico.
[viii]
Potrebbe essere obiettato di considerare anche una terza denominazione: beyt
hamiqadosh
la casa del luogo santo
ma essa è chiaramente solo una semplice amplificazione di qados
h.
[x]
A conferma, la variante qadesh ha, appunto il senso di rigettato ovvero
l’equivalente di homo sacerrimus.
[xv] RG.1, t.II, pp.47, 48
[xvii]
Inoltre la loro somma ha, quale risultato, 12
come i segni dello zodiaco, che circondano le pareti della Loggia
(cfr. infra, p. 6) e come i
componenti di un centro spirituale. Per questa squadra, si dà un’altra
curiosa coincidenza; essa – con le sue proporzioni – è anche la L
dell’alfabeto romano nel quale ha, di nuovo, il valore numerico di 50,
in ciò confermando l’impressione visiva di un’originaria impostazione
geometrica delle lettere in questione.
[xx]
Mentre viene creato lo spazio e ciò che contiene, sorge anche il tempo ( i
giorni) egualmente ordinato dalla relazione
6 + 1 con la differenza che
l’analoga funzione “riassuntiva” del centro, viene - nella modalità
temporale - a collocarsi logicamente per ultima come riposo: il riposo
sabbatico.
[xxi]
La !
è
posta in alto quando le altre due lettere stanno agli estremi della base: -
a
sn. e "
a dx. Le tre lettere possono essere considerate isolatamente oppure assemblate
in due gruppi; l’uno di sei combinazioni, due a due e l’altro di
altrettante, tre a tre. Molto sinteticamente, i concetti dei riferimenti
radicali sono i seguenti:
1.
!
un
principio, " il
dimorare, - l’allontanarsi,
l’espandersi, l’elevarsi
2.
!"
progressione,
-"
espansione
(è anche un nome divino), "!
generazione,
-!
elevazione
(altro nome divino), "-
animazione,
vitalità, !-
deprivazione
3.
-!",
!-",
-"!,
"-!,
!"-,
"!-:
queste combinazioni precisano ed a volte puntualizzano, anche con parole di
senso compiuto, i concetti precedenti. Ad esempio -"!
significa
lutto, cioè il contrario [- allontanamento]
della generazione ["!
ossia
"!+
-]
mentre !"-
è cuore.
[xxii]
Febr.1989. Debbo aggiungere come, oggi, nemmeno Jahbulon sia più presente sull’ara e questo, sembra, per mero
rispetto umano a ragione degli equivoci che le esotiche assonanze di un termine
desueto provocavano in alcuni timorosi ed ignoranti massoni nonché nei soliti
malevoli, i quali ne traevano occasione per fantasiose ed oscure illazioni.
[xxiii]
<<Warrant and certificates issued by the First Grand Chapter in the
pre-1813 period [ prima dell’Unione tra Antients
e Moderns] often
bore the words:”In the name of the Grand Architect of the Universe, the
Almighty Jah”>>:
BEJ,
p.153.
[xxiv]
Cfr. BGT:
deve essere qui fatto presente – quale semplice cenno - che la tradizione Indù
rappresenta, in specie nel suo nucleo vedico, la più diretta filiazione della
Tradizione Primordiale.
[xxv]
Uno dei Nomi, cfr. supra, n.22.
[xxvi]
Una delle tracce del remoto, comune possesso di certe cognizioni è nel
virgiliano <<…tibi
serviat ultima Thyle…>>
(Georg.
1.30), dove è citato quello che fu uno degli appellativi del centro spirituale
primordiale. Esso, posto alla massima latitudine aveva allo zenit la
costellazione da cui traeva nome: infatti in skr. tula è la bilancia (Ö tul: to lift up; raise; to determine the weight of anything by lifting it up;
da cui il lt. tollo ed anche
bilancia ed in epoca arcaica, proprio perché basculanti sul perno della
Polare, erano così designate le due Orse. Soltanto in tempi successivi il nome
di Libra fu trasferito ad un asterismo zodiacale. Quelli stessi tempi in
cui, il medesimo centro venne ad identificarsi con l’isola di Ogygia
posta nell’Atlantico settentrionale (cfr. FV,
et infra note nn. 83, 132). Tra l’altro, si può così comprendere perché
l’aspetto principale dell’ astrologia non abbia avuto niente a che vedere
con le applicazioni divinatorie, oggi divenute ossessive, ma come essa fosse
intimamente connessa con i principi che reggevano la geografia sacra.
[xxvii]
Dalla metà del XV sec., essa non è più scrupolosamente osservata in
Occidente, pertanto le chiese non sono necessariamente disposte secondo un asse
equinoziale ma, nel mondo islamico, la qibla
ossia la direzione della Mecca, è
d’assoluto rigore anche nella preghiera individuale.
[xxviii]
Ad es. quanto fanno i pellegrini intorno alla Kaaba
[xxx]
Gn.1.4, 10, 12, 18, 21, 25 da HL
[xxxii]
Il rif. delle citazioni è a MMW. Per quanto riguarda i caratteri di Asoka (-272 / -231), si
tratta della geometrica scrittura brâhmî
che ben si presta a questo tipo di
composizioni; altro elemento interessante è la sua antichità. L’inizio del
suo uso viene, infatti, collocato intorno al V sec. A.C. ma potrebbe risalire
assai più indietro poiché è stata autorevolmente (A.Cunningham e Dowson)
congetturata <<l’existence d’une
vieille écriture indigène, ancêtre de la brâhmî>> (F, p.340)
[xxxiii]
Parimenti, secondo le attribuzioni allo iota
spetta il valore 10.
[xxxv]
Attualmente, ci si limita al solo Jehowa
(cfr. supra n. 21).
[xxxvi]
È quello che si incontra in questo testo: risale al periodo del
Secondo Tempio. Prima dell’esilio ne veniva usato uno assai più
elaborato ma che – da allora sino ad oggi - è rimasto appannaggio dei
Samaritani.
[xxxvii]
È appunto alle dieci Sephiroth che si
allude quando in Bahir,§118, viene
affermato:<<Il mondo fu creato per dieci parole>> è ciò perché
nello yod c’è il germe d’ogni
cosa.
[xxxix]
Îsh
+ vára
(environing, enclosing) determina come una personalizzazione ed infatti
ne risulta che Ishvará
è the Supreme Being
ovvero l’equivalente di -Wa/Wsir/
per i quali,
cfr. infra, punto 3.
[xl]
La primordialità di questo segno è suggerita dall’essere pressoché ovunque,
e non solo presso i romani, cifra dell’unità; il che ci richiama al concetto
di subordinazione del Cosmo al suo Principio; universum:
Unum versus [ire].
[xlvii]
Tolomeo III regnante: -246 / -221.
[li]
Metafisicamente L’Essere, pur appartenendo al Non-manifestato è all’origine
della Manifestazione o Esistenza che dir si voglia, infatti: esistenza – exsistentia
- sottende ex stare; quindi,
propriamente, è da interpretare fuori
dall’Essere, il quale,
rispetto ad essa, è un Principio relativo. Il Principio Assoluto (è l’Ayn-Soph, il Deus
Incognitus più sopra citato a proposito dell’Albero Sefirotico) - che si
colloca al di là d’ogni determinazione non esclusa la prima (l’Unità)
ovvero l’Essere stesso - corrisponde a ciò che potremmo chiamare Zero
Metafisico. E Chi parla dal roveto ardente, secondo la formula più diffusa, Si
nomina <<Io sono Colui Che è>> in realtà la forma ebraica ahyh
ashr ahyh
è piuttosto un futuro: <<Io sarò Colui Che sarà>>.
Nell’immediato l’espressione appare non del tutto trasparente ma se si tiene
conto di quanto premesso e si consideri la successione cronologica - in rapporto
al reale eterno presente del Soggetto - come una successione puramente logica,
la frase può risultare così “tradotta”: <<Io, che, per mia propria
condizione, sono al di là dell’Essere, mi manifesterò a te secondo quello
stato>>. Il sottinteso motivo è: <<…per permettere il mio
intervento nell’Esistenza come Legislatore.>>
[liii] Gen.12.6, 35.4, Dt.11.30, Gdc.9.6
[liv] Henry Wilson Coil, Coil's Masonic Encyclopedia,
New York, Macoy Publishing and Masonic Supply, 1961, pp. 516-517; Malcom C.
Duncan, Masonic Ritual and Monitor, New York, David Mckay Co., nd., p.
226; Dr. Ron Carlson, Fast Facts on False Teachings, Eugene, Oregon,
Harvest House, 1994, p. 86.
[lv]
Questa dizione è di particolare interesse perché, esaminata secondo la
sillabazione qui messa in atto, si presenta con la precitata componente (1.)
Yah-, e tutto il suo carico semantico, abbinata a -ti, che,
nell’egizio, significa forno ed è precisamente il forno del vasaio,
riprodotto del resto dalla grafica del corrispondente geroglifico t3
nella sua tipica struttura alta e biconica. Non a caso dunque, YâTzaR,
sta per to form, to fashion, nella specifica accezione di Gen. 2.8
ovvero di quando si narra che Dio plasma l’uomo come fa un vasaio
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